Il governo Cameron censura se stesso, non pubblicando il risultato di uno studio interdipartimentale che dimostra come l’impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro britannico sia molto più ridotto di quanto considerato fino ad oggi. Ma ora, dopo che la stampa del Regno Unito ha attaccato Downing Street, il ministero dell’Interno, guidato da Theresa May, fa sapere: “Lo pubblicheremo a breve”. La stessa May, nel 2012, aveva stimato, pur senza fornire prove certe, “che ogni cento immigrati che arrivano nel nostro Paese, ben 23 britannici vengono estromessi dal mercato del lavoro”. Ora, appunto, ecco lo studio (commissionato dal ministero dell’Interno, dal dipartimento per il Business e da quello del Lavoro e delle pensioni) che dice il contrario.

Un risultato sicuramente imbarazzante per il governo di coalizione fra conservatori e liberaldemocratici, che, più volte, ha promesso di ridurre l’immigrazione netta verso il Regno Unito a meno di 100mila unità entro il 2015. Operazione a dir poco improbabile, viste le regole comunitarie sulla libera circolazione delle cose e delle persone – norma comunque da sempre mal considerata nei palazzi del potere londinesi – e soprattutto viste le attuali cifre che parlano di oltre 200mila arrivi all’anno. Con l’immigrazione dai Paesi europei più che raddoppiata nel 2013. Cina, India e Polonia guidano, al momento, la classifica dei Paesi di provenienza. Ma Italia, Spagna e Portogallo continuano comunque a essere molto in alto nella lista. Il governo Cameron, comunque, si è anche spaccato al suo interno, con il ministro del Business Vince Cable che più volte ha sottolineato “la necessità di nuove e fresche forze per il mercato del lavoro britannico”, smentendo anche la leggenda del “turismo del welfare”. Secondo Cable, che ha avuto accesso ai più recenti dati, “solo il 3% degli immigrati di recente arrivo si sono rivolti agli uffici statali per farsi pagare il sussidio di disoccupazione”.

Un governo che mostra comunque ulteriori contraddizioni, come da un lato il proclamare l’intenzione di tagliare l’immigrazione dai Paesi europei – anche se non si sa come – e allo stesso tempo avviare un programma per l’acquisto di visti da parte di ricchi di tutto il mondo. Per avere il visto, il requisito necessario è impegnarsi a investire almeno 2 milioni di sterline nel sistema economico britannico. Una mossa ben ragionata, in tempi di crisi internazionali e di ricchi milionari o miliardari di aree del mondo travagliate e desiderosi di impiantarsi a Londra. Il tutto mentre gli agenti immobiliari che vendono proprietà di lusso avvertono: nelle ultime settimane c’è stato un aumento di domande di acquisti di immobili eccellenti da parte di ricchi ucraini e russi.

Investire a Londra, di questi tempi, pare essere un’ancora di salvezza. E all’acquisto di una casa, solitamente, segue anche la residenza e la richiesta di un visto di soggiorno. Ma è sul fronte degli immigrati a basso reddito che in queste ore si gioca la battaglia. Appunto, secondo lo studio, “c’è pochissima evidenza di un mercato del lavoro turbato da tutti questi arrivi. L’immigrazione ha un impatto trascurabile sui posti di lavoro in mano ai britannici”. Anche il Labour, nei giorni scorsi, facendo un po’ di quella opposizione che di solito manca quando si parla di immigrazione, ha accusato il ministero dell’Interno di aver voluto censurare questo documento. E l’Institute for public policy research qualche settimana fa aveva avvertito il governo: tagliare il numero degli immigrati, oggi, sarebbe dannoso e soprattutto irrealizzabile. “Dannoso perché metterebbe a repentaglio la crescita economica. Irrealizzabile perché questo intento ignora l’estrema facilità di spostamento nel mondo odierno”.

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