Il passaggio alla Camera della nuova legge elettorale ha messo in luce in maniera plastica, ancorché drammatica, i punti distintivi di questo nuovo “Renzianesimo”, religione monoteista che si sta rapidamente affermando al di qua del Tevere. Il premier si è giustamente vantato di aver piegato “la resistenza interna“, quelle viscere maleodoranti che nel suo progetto andranno via via espulse dal corpaccione del Pd, per trasformarlo finalmente in una creatura a sua immagine e somiglianza, veloce, leggera, ma dal cinismo totalmente nuovo rispetto al passato.

Ecco, primo punto: il nuovo cinismo. Il nuovo cinismo immaginato da Matteo Renzi non ha nulla a che fare con le vecchie pratiche comuniste, che tenevano insieme la storia, certi valori, con l’applicazione della realpolitik dominante. Qui non c’è nessuna storia da difendere e dunque nessun valore primario da salvaguardare. C’è più semplicemente l’applicazione di un moderno e disinvolto ricatto (politico), che porta il segretario/premier a giocare su due tavoli totalmente distinti come se il primo, il segretario, non avesse la minima parentela con il secondo, il premier. Spettacolare il doppio registro con cui ha gestito i famosi “principi etici”, come la difesa dell’integrità femminile e le norme sulla discriminazione. Sulla parità di genere, il premier ha lasciato in Aula libertà di coscienza, ma alla stesso tempo, qualche ora prima, da segretario del Pd aveva consegnato ai randelli dei cittadini gli eventuali traditori del patto siglato con Berlusconi. Emblematica la seconda votazione, quella sul perfido emendamento Gitti sulle preferenze di genere che avrebbe scardinato l’intesa, anche quella di un certo peso etico per le donne. Qui Renzi, paventando una rovinosa caduta, non ha lasciato nessuna, ma proprio nessuna libertà di coscienza. Ha rischiato, ma per una ventina di striminzitissimi voti ha vinto.

Secondo punto: l’allineamento umano all’interno del partito. È su questa caratteristica psicologica che il segretario/premier si gioca una delle partite più delicate della sua storia. È del tutto chiaro che Renzi dà per irrimediabilmente perse figure come Rosy Bindi o altre similari che nutrono nei suoi confronti un rancore antico e inossidabile. Attenzione, però! Renzi non dà per perso nulla, tutto e tutti gli sembrano riconducibili a una certa (sua) ragionevolezza, che comprende furbizia strapaesana e quel modo assai disinvolto di “stare al mondo”. Impeccabile, da questo punto di vista, il suo avvicinamento a Massimo D’Alema (peraltro D’Alema si è fatto molto volentieri avvicinare), che Renzi considera comunque un interlocutore importante all’interno del Pd. Apoteosi di questo corteggiamento? Tra qualche giorno, quando il buon Matteo farà da allegro conferenziere all’ultima, non decisiva, fatica letteraria del presidente della Fondazione Italiani-Europei. Stupiti? Noi per niente.

Ma sempre per restare all’allineamento, è sui giovani non “suoi” a cui punta Matteo Renzi. Il premier, dopo il passaggio vincente alla Camera, non ha fatto mistero della sua soddisfazione per l’intervento di Roberto Speranza, ancora capogruppo Pd a Montecitorio. Se non avete visto in streaming l’intervento alla Camera di Speranza, ve lo descriviamo noi: bianco come un fantasma, con un fil di voce, tormentatissimo al limite del cedimento strutturale, Speranza si è alzato e ha declinato esattamente ciò che la nuova dimensione renziana richiedeva: sostenere di fronte a tutti che il bene di un accordo superiore, cioè quello con il Cavaliere, aveva infinitamente più importanza delle questioni pur rilevanti che riguardavano le donne. Ecco, ha pensato Matteo Renzi, questo è un vero obiettivo raggiunto: non solo piegare la “resistenza” interna, ma costringerla a fare pubblica ammenda, a dover declamare all’interno dell’Aula ciò che sino a qualche mese prima non avrebbe mai accettato. Un successo pieno.

Terzo punto: il fastidio per le regole dei suoi giovani e arrembanti collaboratori (diventati con un colpo di bacchetta ministri e sottosegretari). Sotto questo cielo, la vicenda Boschi è assolutamente straordinaria. A parte l’insofferenza per la satira che si commenta da sola, oggi potete leggere un’agile intervista con Lucia Annunziata, direttrice dell’Huffington italiano, che dà conto del fastidio della ministra per un pezzo in cui si racconta di un bigliettino minaccioso passato dalla medesima a Dorina Bianchi per “convincerla” a votare bene sulla parità di genere. “Lei mi ha chiamato – dice Annunziata – voleva che togliessimo il pezzo dal sito e io le ho spiegato che non funzionava così”.

Togliere il pezzo, rimuovere, pensare che una certa visione proprietaria dell’informazione (e forse anche di molto altro) debba avere (nuova) nobiltà di appartenenza in questo sbrindellato Paese. La ministra Boschi ha qualcosa più di trent’anni, dunque giovane, di buonissimi studi, completamente dentro questi tempi. Se la sua morale è “togliere i pezzi”, diciamo che su questi anni, i nostri e i loro, c’è da fare forse una riflessione.

Articolo Precedente

Legge elettorale: signori, scelgo io chi votare

next
Articolo Successivo

Spending review, Cottarelli: “Tagli ad auto blu, sedi Rai, polizia e pensioni”

next