Renzi vuole ridurre le tasse di 10 miliardi. Ma quali? Il dibattito sul taglio dell’Irap o dell’Irpef rivela molte cose. Cominciamo dai fatti e dall’analisi economica.

Tagliare l’Irap significa dare più soldi alle imprese. Queste al momento hanno quasi tutte eccedenze di capacità produttiva. Perciò, nella stragrande maggioranza dei casi, non investirebbero questi soldi nell’economia reale: in macchinari, in nuovi occupati. Li darebbero alle banche: per rientrare dai fidi – se indebitate; o per depositarli sui conti correnti. Tagliare l’Irap significa dare più soldi alle banche (e ai ricchi). Niente di male, ma la capacità di stimolo all’economia è bassissima. Ciò, inoltre, aggraverebbe il problema delle coperture finanziarie. Il Governo dovrebbe infatti tagliare più spese o alzare altre tasse, innestando effetti depressivi nella manovra: il cui effetto netto diverrebbe di segno incerto, se non francamente depressivo. In Confindustria qualcuno dice: “Poiché le imprese italiane sono allo stremo dobbiamo salvare il salvabile”: aiutare le imprese momentaneamente a fronteggiare i debiti senza innescare una ripresa generale è una posizione miope.

Il taglio degli scaglioni inferiori dell’Irpef, soprattutto se accompagnato da sostegni ai redditi degli incapienti (i poverissimi, che non pagano Irpef), verrebbe speso al 65% in prodotti italiani: attraverso il moltiplicatore della spesa porterebbe a un aumento del Pil di circa 11 miliardi (+0,7%). Questo aumento già di per sé riporterebbe nelle casse dello Stato circa 5 miliardi. Resta da trovare la copertura per gli altri 5 miliardi, perché il Governo è determinato a non consentire al deficit di sforare il limite de 3%: un vero peccato. Se questi 5 miliardi fossero presi sui mercati finanziari, il deficit aumenterebbe di 0,3% del Pil (forse staremmo ancora sotto al 3%, forse no), ma il rapporto debito/Pil scenderebbe da 133,1% a 132,5% del Pil (per effetto dell’aumento del Pil): che poi è quel che conta davvero. Ma se proprio si vuole trovare copertura finanziaria raccomanderei un incremento dell’Irpef sugli scaglioni alti, per 3 miliardi: manovra poco depressiva e socialmente equa.

Politicamente, è straordinario che la spinta nella direzione giusta – apparentemente solo contro tutti – venga proprio da Renzi “il superficiale”. Non che la manovra sia ideale: è meno efficace di quella proposta da molti economisti keynesiani (e il taglio dei sussidi ai disoccupati paventato da alcuni sarebbe un autogol). Ma il taglio sugli scaglioni bassi dell’Irpef è una rottura con il passato che va nella giusta direzione. Noto una certa somiglianza (fatte le debite proporzioni) fra Renzi e F.D.Roosevelt; anche il grande Presidente americano arrivò nel 1933 con un po’ di confusione in testa, ma con l’intenzione di provarle tutte pur di mettere fine alla Depressione. Sbagliò molte cose, fece molte cose giuste, ma alla fine trovò la via d’uscita. Renzi attacca la Cgil ma in realtà sta proponendo, con prudenza, politiche di stimolo simili a quelle richieste dalla Cgil. Contrariamente a Roosevelt, Renzi è arrivato al potere carico di illusioni strutturaliste simili a quelle di Monti: il Jobs Act inizialmente doveva essere l’ennesima inutile liberalizzazione del mercato del lavoro. La speranza è che stia imparando in fretta, e che capisca che per uscire dalla crisi bisogna fare il contrario di quello che i nostri leader hanno fatto finora.

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