Quando sono diventata mamma non sapevo niente di bambini.

A trentadue anni ero la prima delle mie amiche ad avere un figlio, non avevo riferimenti esterni e mia madre sembrava avesse partorito nell’età della pietra.

Anche prima di diventarla, non leggevo nelle sale d’attesa Bimbisani & belli, SOS Tata non mi appassionava e non facevo le vocine ai bimbi degli altri, bramando un avvenire tra Pampers e succhiacaccole.

Mi sono arrangiata come ho potuto, con una certa dose di buonsenso e intuizione e per adesso il risultato supera le mie aspettative, ma certo non mi azzarderei mai di affiancare un’altra mamma e profondere perle di saggezza sulla crescita dei suoi figli.

I primi anni, l’incontro con le madri so-tutto-io mi ha messo al tappeto.

Non c’era quasi niente che – dall’alto della loro enciclopedica conoscenza (sono quelle che partecipano ai forum, hanno letto tutti i libri sulla puericoltura e di solito fanno le rappresentanti di classe all’asilo) – facessi bene.

Qualsiasi decisione prendessi riguardo alle bambine, seppur oculata, una di loro me la stroncava sul nascere. Hanno un parere pronto per tutto: dai pidocchi allo streptococco, dall’irritazione da pannolino alla ricetta segreta per la pappa migliore, dalla cura contro le ragadi al rimedio contro le coliche. Decrittavano persino i “ba ba ba” e “da da da ” delle mie figlie.

G. è un padre fantastico: è presente, collabora, niente lo schifa, rappresenta pienamente l’altro 50 per cento. Lo sanno tutti perché è a suo agio in ogni circostanza riguardi i suoi figli. Ma quando porta la figlia a nuoto, nel momento di metterle la cuffia, uno sciame di madri gli svolazza intorno strappandogli di mano elastici e forcine per finire il lavoro. A nulla valgono i “non preoccupatevi, sono capace di farlo io”. Le api regine non sentono ragioni. All’uscita, sono sempre loro che redarguiscono sull’agganciare bene la giacca fino al collo o di mettere la cuffietta per scongiurare otiti.

L. è un altro splendido papà. Porta a spasso i figli se la mamma deve lavorare, organizza gite fuori porta alla domenica, non lo assale il terrore se deve restare solo con loro. Tuttavia, il monitoraggio da parte della moglie è serrato. Bisogna rendicontare sugli strati indossati dal bimbo (guai a scordarsi la maglia della salute!), l’esatta quantità di cibo somministrata, i cambi di pannolino, lo stato umorale del piccolo.

Le madri possono essere (o diventare) estremamente puntigliose, maniache del controllo, comandine. E in molti casi, certi compagni assenti ne istigano la parte peggiore.

Ma perché farlo quando le cose funzionano bene?

Sembra quasi che ci sia l’incapacità a fidarsi dell’altro, e la convinzione – vuoi per un’eredità socio-culturale dove alla madre è sempre stata demandata la cura dei figli – che nessuno potrà svolgere il lavoro meglio di lei. Ma è sbagliato! Primo, perché non tutti i bambini sono uguali (perciò lo sciroppo alla bava di lumaca datelo ai vostri!) Secondo, perché il modo in cui un padre operoso gestisce il proprio figlio può essere altrettanto valido quanto quello della madre.

Forse, la ragione vera è un’altra.

In una società dove l’affermazione sociale e lavorativa della donna è ancora materia di discussione, riconoscere all’uomo anche la funzione di mammo, suona per molte come una destituzione, e fa temere la perdita di uno dei pochi ruoli certi nel mondo.

E’ vero che la mamma è sempre la mamma, ma pure il papà è sempre il papà.

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