“Sono stato ricevuto dal senatore Kerry a Washington o da Schwarzenegger come leader di una posizione ambientalista… E poi vengo rappresentato come uno che ride dei tumori… Insomma, capisce bene che per me non è una grana giudiziaria, è essere spellato vivo, è essere mutilato della cosa più importante che ho accumulato nella mia vita, che è la reputazione… ”. Si chiude con queste parole, il 23 dicembre scorso, l’interrogatorio di Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia, accusato di concussione, dalla Procura di Taranto, nell’inchiesta sull’Ilva. Si chiude dopo sei ore e mezza di risposte che non convincono l’accusa: ieri la Procura di Taranto ha chiesto il rinvio a giudizio, per Vendola e altri 53 indagati (50 persone fisiche e 3 società), confermando l’accusa di concussione.

“Per decenni – commenta Vendola – a Taranto nessuno ha visto niente e troppi hanno taciuto. Io no. Per decenni gli inquinatori hanno comprato il silenzio e il consenso politico, sociale e dei media. Io no. Infatti non siamo accusati di corruzione. Siamo accusati di essere stati compiacenti, a titolo gratuito, nei confronti dell’Ilva. Accusati in un processo in cui tutti i dati del disastro ambientale sono il frutto del nostro lavoro”. Ben 258 le parti lese dall’inquinamento dell’Ilva individuate dalla Procura. Rischiano di andare a processo il deputato di Sel Nicola Fratoianni, l’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro (Idv), accusati di favoreggiamento personale nei confronti di Vendola che, secondo l’accusa, avrebbe esercitato pressioni sul direttore dell’Arpa Giorgio Assennato per “ammorbidirlo”, indagato anch’egli di favoreggiamento nei confronti del presidente pugliese.

Chiesto il rinvio a giudizio per un intero sistema politico: il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno (abuso d’ufficio), l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva. E poi il gruppo Riva: il ‘patron’ Emilio, il vice presidente del gruppo Riva Fire Fabio Riva, il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante. E il responsabile delle relazioni pubbliche, Girolamo Archinà. Reati che variano dall’associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale all’avvelenamento di acque e sostanze alimentari. Il verbale di Vendola è zeppo di “non ricordo” e anche di un’accusa al Fatto Quotidiano che, in esclusiva, sul proprio sito web, pubblicò la telefonata in cui il Presidente, ridendo con Archinà, assicurava che non si sarebbe defilato. “Hanno avuto bisogno di manipolarla un po’ – dice Vendola – di tagliarla e di rimontarla…”. Falso. Ilfattoquotidiano.it pubblicò sia la versione integrale della telefonata, sia quella montata, ma nessuna versione manipolata.

E sulla risata con Archinà – che aveva strappato il microfono a un giornalista che faceva domande – , Vendola commenta così: “Ho avuto la sensazione di averlo offeso, perché ridevo di lui, del suo scatto felino, scatto da servitor zelante, questo era il motivo esclusivo della risata…”. E su un testimone scovato in esclusiva dal Fatto, a un certo punto, verte l’interrogatorio a Vendola. L’argomento è cruciale per l’accusa: la riunione del 15 luglio 2010, dopo la quale, i Riva, in un’intercettazione commentano: “Tieni presente che già psicologicamente, ieri, è avvenuto questo: Assennato è stato fatto venire al terzo piano però è stato fatto aspettare fuori… come segnale forte…”. “Io non ho memoria di Assennato – risponde Vendola – non era nel palazzo, non era nel mio campo visivo… non lo convocammo nel corso della riunione… non ricordo che nessuno l’abbia convocato con un sms…”. Eppure il testimone rintracciato dal Fatto, interrogato dalla procura, conferma di aver incontrato Assennato in uno stato d’animo “rassegnato” proprio nei corridoi della Regione. “E quando? – risponde Vendola – A che ora? Mi risulta che avesse un appuntamento con l’assessore Nicastro alle 10… è arrivato in anticipo a un appuntamento che aveva con Nicastro… non con me…”.

“Ricorda – continua il pm Piero Argentino – se qualcuno dei partecipanti lasciò la riunione per andare a parlare con Assennato?”. “No”. Sono tanti, troppi i “non ricordo” di Vendola, e tutti su episodi cruciali per l’accusa che gli viene mossa. Il suo è un interrogatorio costruito su flussi di coscienza: “Ma lei pensa che io potessi anche soltanto pensare di delegittimare Assennato? Ma Assennato per me è un eroe… è un prototipo umano…”. E ancora: “Mi scrivono molti bambini… ho una discreta corrispondenza epistolare con i bambini… raccolgo le loro lettere e i loro disegni… pubblichiamo – se posso consegnarvelo – questo libro ‘Sognando nuvole banche’, con una piccola prefazione scritta da me, che consegnerò a Berlusconi quando chiederemo un intervento del Governo su Taranto e sull’Ilva…”.

Oppure: “Quest’indagine mette in discussione tutto quello che ho fatto nella mia vita… da quando ho preso coscienza delle problematiche ambientali… che ho fatto a Brindisi, a Taranto, tutte le volte che ho dormito davanti alla centrale di Montalto… La storia s’incaricherà di dire che mentre un Governo nazionale faceva un regalo ai Riva, forse in cambio della vicenda Alitalia, un governo regionale cercava disperatamente un gancio normativo per impedire che quel decreto, del governo Berlusconi, chiudesse i conti con il benzo(a)pirene nella città di Taranto…”. E inoltre: “La prima domanda che ho fatto a Riva è stata: ‘Lei è credente?’, glielo chiedo perché dovremo parlare a lungo di diritto alla vita’”. La procura, però, vuole risposte sugli appuntamenti con Archinà, sugli incontri tra quest’ultimo e Assennato, tra i suoi funzionari e il direttore dell’Arpa o lo stesso Archinà. Ma è una sequenza di “non ricordo”. Ricorda invece di essere stato “prigioniero nell’ufficio di Gianni Letta”, in un tavolo tecnico a Palazzo Chigi.

da Il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2014

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