“Se penso a quanto ho perso mi impicco”. Seduto su una sedia girevole, rossa e imbottita. Davanti la slot. Una mano regge 150 euro di monete, l’altra schiaccia “start”. Due, tre, decine di volte. Fino a che non arriva il “bonus”, scatta l’autoplay e la macchina parte in loop e decreta vittorie e sconfitte. Da sola. A pochi passi da lui, c’è un giocatore che mette 50 euro in un’altra mangiasoldi e in un attimo li perde. Poi si alza, fa un giro al bar, torna con un superalcolico e ricomincia daccapo. “Questo è un posto di merda, andate via. Guardate come ci riduce lo Stato”. Mini casinò in provincia di Pavia, aperto 24 ore su 24. Ci sono anche biliardo, calcio balilla e karaoke. Famiglie con bimbi piccoli, giovani, uomini di mezza età, casalinghe cinquantenni fresche di parrucchiere, tanti italiani e qualche trentenne dell’Est Europa. Illuminati delle luci delle slot, che sfumano volti e contorni, cambiano i contanti, riversano i soldi nelle macchine e sperano di vincere. O meglio, di passare il tempo, perché tante alternative, nella ricca e desolata provincia tra Po e Ticino, non ci sono. 


(video di Franz Baraggino

A Pavia slot e videolottery (vlt) – presenti solo in agenzie di scommesse o sale dedicate e che consentono anche di giocare banconote di grosso taglio – hanno regalato alla città il primato della Las Vegas d’Italia, dove la spesa procapite per il gioco, vincite escluse, è di 3mila euro, contro i 1200 di media nazionale. Un record che, secondo Agimeg (Agenzia giornalistica sul mercato del gioco) stacca di oltre mille euro Como, Teramo e Rimini. Una città di quasi 70mila abitanti con una slot ogni 104 e al primo posto anche per livello di puntata massima (2900 euro).

I profitti – La gente gioca, ma chi vince? Di certo Monopoli di Stato (attraverso licenze e Preu, prelievo erariale unico) e concessionari, incassano somme interessanti. Il settore del gioco nel suo complesso rappresenta il 4% del Pil. Dunque, la terza “azienda” del Paese dopo Eni e Fiat. In Italia, secondo i dati elaborati da Agipro (Agenzia stampa Gioco Pronostico e Scommesse) ci sono 372.467 new slot e 50.556 Vlt, per un totale di 423.023 apparecchi. In totale nel 2013 sono finiti nelle macchine 48,5 miliardi di euro (-0,4% rispetto ai 48,7 miliardi del 2012) e la spesa effettiva dei giocatori al netto delle vincite è stata di 8,3 miliardi (-9,8% rispetto ai 9,2 miliardi del 2012), mentre l’erario ha incassato 4,32 miliardi. Secondo i Monopoli, nel 2013 l’erario ha guadagnato sulle slot 3,2 miliardi di euro, mentre 3 miliardi sono andati alla filiera degli operatori. Nello stesso anno, per le vlt sono andati allo Stato 1,1 miliardi di euro circa, mentre concessionari e gestori di sala hanno incassato 1,4 miliardi. Complessivamente le casse pubbliche hanno quindi messo in tasca il +4% rispetto ai 4,15 miliardi del 2012.

In sintesi, dell’importo che finisce nelle slot (raccolta), il 74% finisce nelle tasche dei giocatori, il 13,5% (che comprende il prelievo erariale unico sulle giocate del 12,7% e lo 0,8% del canone di concessione per utilizzo della rete 0,8%). Infine, il 12,5% va alla filiera delle slot, composta da concessionari, gestori che si occupano della manutenzione e distribuzione delle macchine, e i singoli esercenti (bar, tabacchi) che hanno le macchine nei locali. In media, il 55% degli utili va agli esercenti, il 38% ai gestori, il 7% ai concessionari. Per quanto invece riguarda le vlt, l’89% va ai giocatori, il 5% allo Stato e il 6% a gestori delle sale per il 55% e concessionari per il rimanente (45%).

Sul fronte dei giocatori, secondo quanto pubblicato sul sito dei Monopoli di Stato, per le videolottery “la normativa prevede la restituzione in vincita di una percentuale minima pari all’85 per cento per ogni sistema di gioco e per ogni gioco sul medesimo installato”. Il dato effettivo di restituzione in vincite delle somme giocate ha raggiunto l’88,34% nel 2011 e a l’’88,40% nel 2012. Per le slot, invece, la percentuale minima è fissata al 74 per cento. Tuttavia, si legge sul sito dei Monopoli, “non è possibile indicare l’effettiva probabilità di vincita di ogni apparecchio, che deve risultare non inferiore a quella normativamente prevista”. Vero è che la somma che nel 2012 è rientrata nelle tasche dei giocatori sotto forma di vincite (tra macchinette, lotterie, gratta e vinci, lotto, superenalotto, giochi a base sportiva, poker e casinò online, bingo e giochi a base ippica) è stata di 70 miliardi. Un dato suggestivo. Ma, come scrive la Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (Dna) 2013, “deve essere però valutato nel contesto di un meccanismo che privilegia pochissime persone con alte vincite”. Ed ecco perché i giocatori possono perdere anche migliaia di euro. Ma dietro alle sconfitte c’è anche un altro motivo. 

Infiltrazioni mafiose – Alla problema della redistribuzione, si aggiunge infatti la criminalità organizzata. Perché il gioco è un business in cui si accomodano i clan – oltre 40 – che così possono riciclare e investire “in maniera tranquilla, elevatissime somme di denaro”. La Dna spiega che è anche nel “perimetro legale del gioco” che avvengono le infiltrazioni, specie su slot e vlt. La procedura: le cosche comprano e intestano le sale gioco ai suoi prestanome, sia per ricavare guadagni immediati alterando le macchine, sia per il riciclaggio. Se la macchina non è collegata alla rete telematica, la criminalità si accaparra il Preu più le somme dovute a concessionario ed esercente. Nel caso invece il software dell’apparecchio sia truccato “anche per abbattere la probabilità di vincere del giocatore, l’importo va tutto all’organizzazione criminale”. E una macchina così può fruttare anche mille euro a settimana. Importante ricordare che, “benché per le vlt sia prevista la giocata massima di 10 euro, accettano banconote di ogni taglio”. Anche da 500 euro. E i controlli? Complicati e costosi. Già nel 2012 la Dna sottolineava che le cosche sottraggono a Monopoli e concessionari importi difficili da intercettare.

Emergenza ludopatia – Tecnicamente li chiamano “apparecchi da divertimento e intrattenimento”, ma slot e vlt sono diventate un’emergenza sociale, spesso nascosta per vergogna. E il fenomeno della ludopatia – inserita tra gli stati patologici oggetto di cura del Sistema sanitario nazionale dal decreto legge 158/2012 – è in aumento. Per il dipartimento per le politiche Antidroga, nella relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze 2012, sono 300mila i giocatori compulsivi già conclamati e nel 2011, quelli in cura, erano 4687, “di cui 82 per cento maschi”. Secondo La Sapienza, oggi, sono 790mila quelli a rischio. Inoltre, lo studio Ipsad del Cnr di Pisa rileva che anche il numero di giocatrici sta aumentando. E sia le donne che gli uomini finiscono davanti a slot e vlt per noia, solitudine e frustrazione.

“Giocano tutti, di qualsiasi età e professione – spiega Simone Feder, psicologo della Casa del giovane di Pavia e fondatore del Movimento No Slot, contro il gioco d’azzardo – Donne, uomini, pensionati, imprenditrici, carabinieri, banchieri. Entrare in sala ed essere circondati da una varietà di genere ed estrazione sociale ricrea la normalità che il giocatore cerca per giustificarsi. Ed è pericolosa”. Feder racconta di famiglie che hanno perso “fino a 230mila euro, che si sono giocate la casa, la famiglia, il lavoro. C’è chi ha tentato il suicidio”. E ancora “anziani che non hanno mai avuto vizi e che iniziano a giocare”, racconta un operatore della Casa del Giovane. “Ricordo uno psicologo che, per evitare danni maggiori, accompagnava una signora a giocare perché lei non spendesse più di cento euro”. Non solo. “A Pavia, appena ritirano la pensione, vedi le slot imballate di gente”. E mogli che con un marito giocatore non possono permettersi una maternità, bancomat requisiti dai parenti per necessità, famiglie sul lastrico, prestiti sospetti e usurai alle calcagna.

Le slot ormai non sono soltanto nei bar e in tabaccheria, “perché le trovi anche in latteria, in erboristeria, dal benzinaio“. Feder ha avviato la campagna No Slot, affinché i baristi lasciano il gioco d’azzardo fuori dalla porta. Un obiettivo per il quale il Comune di Pavia ha stanziato 20mila euro, mille a testa per chi toglie gli apparecchi dal locale. Una cifra che, però, “per molti esercenti è bassa – dice Feder”. Al questionario sottoposto ai gestori per sondare l’interesse della proposta, hanno risposto in 77 (su 136) e il 74 per cento di loro vorrebbe almeno 4mila euro. Soltanto il 18 per cento, invece, ritiene giusto il compenso proposto dall’amministrazione locale.

Ma per alcuni giocatori c’è dell’altro. “Tanti gestori vogliono tenere le slot perché, quando chiudono il bar, si attaccano alla macchinetta – spiegano – Tra loro ci sono molti ludopatici”. E se i clienti sono ancora dentro quando la serranda si abbassa, “nessuno li va a staccare dalla slot”. Ma l’incentivo del Comune, come spiega Pasquale Cannella, che nel suo bar ha eliminato le slot “è segno del cortocircuito dello Stato”. Che offre soldi agli esercenti per eliminare le macchinette, ma allo stesso tempo le usa per battere cassa e incassare miliardi di euro.

Rabbia contro lo Stato – La Casa del giovane si occupa anche di prevenzione e nelle scuole spiega ai ragazzi cos’è la ludopatia. “Pavia è la piccola Las Vegas d’Italia. Ma la differenza è che se là si avvicinano con un bambino alla slot, arrestano i genitori”, precisa Feder. Non è così nel nostro Paese, dove “tra i minori e le macchine non c’è nessuna distanza. Sono al bar, in tabaccheria, nei centri commerciali”. Non solo: i suoni e i colori “ricalcano apposta quelli dei videogame e playstation“. Così aumenta anche il rischio per gli adolescenti. E “anche se dicono di avere meno di 18 anni, entrano nelle sale giochi senza problemi. Ci sono papà che prendono in braccio i figli piccoli per fargli spingere i pulsanti”. I ragazzi, continua lo psicologo, “vogliono sapere i sintomi, come possono accorgersi se un genitore gioca. Si chiedono perché le banche non facciano niente, perché non siano tempestive quando vedono i conti prosciugati”. Dall’altra parte, i giocatori puntano il dito contro lo Stato complice della loro dipendenza, “che non fa i controlli e che ci riduce così. Ci ruba i soldi, perché questi che finiscono nel gioco non fanno girare l’economia. La distruggono”. Stipendi riversati nelle slot, in pezzi da 500 o in monetine da un euro. Ma c’è chi gioca e sente che la vita scivola via. “Cosa ti toglie il gioco d’azzardo? Di solito, gli uomini dicono i soldi. Le donne, gli affetti. La verità? Che chi è qui si sente solo”. 

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