La maggioranza perde pezzi sulle preferenze. Bocciato l’emendamento che restituiva agli elettori la possibilità di scegliere i candidati, ma i voti a favore sono addirittura 236 (di solito la minoranza si ferma a 180/190 voti). Favorevole gli onorevoli Bindi e Meloni, entrambi del Partito democratico e convinti nel chiedere il supporto alla modifica e circa 50 franchi tiratori del partito che nel segreto dell’urna hanno tradito le indicazioni del leader. Il problema si sposta comunque al Senato, dove i numeri sono molto più stretti e servirà tutto l’impegno dei dirigenti del Pd per far rispettare la cosiddetta “disciplina di partito”. Sulla carta se non berlusconiani e non renziani votassero tutti insieme a favore delle preferenze si raggiungerebbe almeno quota 170, ben oltre la maggioranza relativa dell’assemblea di Palazzo Madama.

Ma non è l’unico dei problemi per l’esecutivo di Matteo Renzi, costretto alla corsa per l’approvazione della legge elettorale in tempi brevi (il premier aveva promesso entro febbraio). Resta infatti il problema quote rosa. Tutti i partiti si dicono a favore dell’introduzione di norme per la parità di genere nelle liste elettorali. Ma i vertici di Forza Italia continuano a fare muro, nonostante siano a favore tutte le deputate berlusconiane. Così ora le parlamentari si appellano alla presidente della Camera Laura Boldrini e al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ma Il Mattinale, la velina redatta a uso dei parlamentari forzisti, spiega: “No al manuale Cencelli sessista”. Prosegue il balletto sulle cosiddette parità di genere, norma che tutti vogliono, apparentemente: ci sono decine di dichiarazioni affidate alle agenzie di stampa di parlamentari di destra, sinistra, centro, sopra, sotto. Ma proprio perché Forza Italia è contraria gli emendamenti sono tutti accantonati. Tanto che le deputate di vari gruppi sono dovute andare in preghiera dalla presidente di Montecitorio, mentre le deputate del Pd stanno raccogliendo firme trasversali fra i banchi della Camera per una lettera-appello al presidente del Consiglio Matteo Renzi. In particolare si chiede che il Governo dia parere favorevole agli emendamenti presentati, in particolare a quello bipartisan firmato da parlamentari di tutti i gruppi tranne Lega e M5s. Tra i firmatari delle proposte di modifica ci sono Stefania Prestigiacomo, Mara Carfagna, Renata Polverini, Micaela Biancofiore, Gabriella Giammanco, Annagrazia Calabria, Elvira Savino, Giuseppina Castiello, Sandra Savino.

“Faccio appello a tutte le forze politiche, a deputati e deputate – dichiara poi la Boldrini – perché prevalga il senso di responsabilità e le richieste avanzate in questo senso vengano prese in considerazione. Il rispetto della parità di genere è una causa che riguarda tutti e che si deve tradurre in azioni concrete. Anche così si mette in atto il cambiamento”. Si stanno provando di tutte. Per blindare gli emendamenti Sel chiederà per esempio il voto palese: “Consente un’opinione libera e il voto palese serve ad assumersi la responsabilità del proprio voto” spiega Titti Di Salvo. E si arriva perfino all’impensabile, grazie alla vicecapogruppo del Nuovo Centrodestra alla Camera Dorina Bianchi: “L’unico modo per uscire dall’impasse sulla parità di genere è un appello che le colleghe di Forza Italia potrebbero rivolgere a Francesca Pascale. Lei potrebbe infatti intercedere e scardinare il muro che i vertici di Fi hanno alzato, impedendo l’accordo sull’alternanza uomo donna nelle liste. Da parte nostra pieno sostegno all’introduzione della norma”. Ma i renziani in materia di riforma elettorale ormai usano sempre la stessa filastrocca da un mese: “Confidiamo di arrivare a una conclusione positiva – ripete il suo mantra il portavoce della segreteria del Pd Lorenzo Guerini -ma è chiaro che ci dovrà essere il consenso di tutte le forze che hanno sottoscritto l’accordo, quindi anche di Forza Italia”. D’altra parte – sia detto per inciso – il Pd ha anche un debito di riconoscenza: i franchi tiratori si moltiplicano e i partiti di maggioranza stanno votando sull’Italicum praticamente all’ordine sparso.

E ci provano, senza particolare successo, anche le deputate di Forza Italia: “La norma sulla parità di genere contenuta nel testo dell’accordo è debole e va corretta – dice Stefania Prestigiacomo– Stiamo lavorando ad una mediazione migliorativa con le parlamentari di tutti i gruppi. Sono certa che Berlusconi sarà d’accordo. È sempre stato aperto e innovativo su questi temi”. Ma la linea è chiara ed è stato ribadita: no agli emendamenti sulla parità di genere, spiega una fonte di Forza Italia all’agenzia politica Public Policy. Certo, sono in corso trattative tra i capi-diplomazia in materia di riforme per Fi e Pd, cioè Denis Verdini e il ministro Maria Elena Boschi. Tanto la linea è chiara che c’è qualcuno che pare fare da portavoce del Cavaliere: “Lo sappiamo tutte, ma dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo: nei partiti le liste elettorali vengono decise e predisposte dagli uomini – dice Daniela Santanchè – E la stessa regola vale per le donne che nei governi fanno i ministri: sono sempre scelte da uomini. Care amiche, dunque, fermatevi sull’emendamento che introdurrebbe una sorta di quote rosa. Io non voglio più portare altre donne in pasto agli uomini. Ne hanno già troppe da consumare”. 

Italicum, Napolitano: “Nessun intervento ora, ma farò un attento esame”
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intanto auspica “la conclusione positiva su basi di adeguato consenso parlamentare” dell’iter della legge elettorale, ma in questa fase “è fuorviante” chiedergli “in nome di presunte incostituzionalità di pronunciarsi o ‘intervenire’ sulla materia”. Infatti non ha “altro ruolo da svolgere che quello della promulgazione – previo attento esame – del testo definitivamente approvato dalle Camere”. E’ quanto si legge in una nota diffusa dal Quirinale che risponde in questo modo alle polemiche dei giorni scorsi sulla presunta incostituzionalità dell’Italicum legata all’emendamento D’Attorre, su cui c’è il placet di Forza Italia e che prevede che la legge elettorale sarà valida solo per la Camera poiché il Senato è destinato ad essere abolito. Era stato in particolare l’ex ministro Mario Mauro (Popolari per l’Italia) che aveva parlato di un eventuale ricorso alla Consulta.

“Fin dalla prima sentenza (2008) in cui la Corte Costituzionale sollevò dubbi sulla legittimità costituzionale della legge elettorale del 2005, il Capo dello Stato – ricorda il comunicato del Colle – sollecitò doverosamente le forze parlamentari a procedere ad una revisione, e ricevette risposte largamente affermative, che non si sono però tradotte in decisioni legislative fino alla decisiva pronuncia della Consulta che con la sentenza n. 1 del 2014 ha annullato alcune fondamentali disposizioni della legge elettorale rimasta vigente”. “Essendosi finalmente messo in moto alla Camera dei deputati un iter di revisione di detta legge – conclude la nota – il Presidente della Repubblica non può che auspicarne la conclusione positiva su basi di adeguato consenso parlamentare”.

Nel frattempo l’Aula della Camera sarà impegnata nell’esame della legge elettorale fino a mezzanotte, dopodiché i lavori verranno aggiornati a lunedì. La decisione è stata presa a maggioranza in conferenza dei capigruppo a Montecitorio con il parere contrario del Pd. La richiesta di far interrompere i lavori parlamentari è stata avanzata dal gruppo Fratelli d’Italia per celebrare il proprio congresso. Il Pd – viene evidenziato – durante la conferenza dei capigruppo ha chiesto con insistenza che si lavorasse almeno domani. In tutto restano 18 ore per la discussione. Comunque alle 20, questa sera, ci sarà una nuova conferenza dei capigruppo.

Maggioranza ancora più giù. Fi: “Se non ci fossimo noi…”
Al momento, l’assemblea ha votato 12 emendamenti e da questa mattina tutte le votazioni vengono svolte a scrutinio segreto, così come chiesto dal capogruppo di Sel Gennaro Migliore
La Camera ha respinto anche, a scrutinio palese, l’emendamento che abbassava la soglia di sbarramento dal 4,5% a 4%. La proposta, presentata da Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia), è stata sostenuta da appassionati interventi dei piccoli partiti, mentre Pd e Fi non sono intervenuti. Alla fine i “no” sono stati 308 contro i 215 sì, comunque superiore ai 180-190 voti ottenuti da altri emendamenti che modificavano la soglia di sbarramento, grazie anche al sì del Movimento Cinque Stelle.

Tra gli emendamenti bocciati anche quelli che avrebbero abbassato le soglie per ottenere i seggi (da 12 al 10% per le coalizioni; da 4,5 a 3% lo sbarramento per i partiti coalizzati e dall’8 al 5% la soglia per i partiti extracoalizione). E’ stato proprio in questa occasione che i partiti che in teoria sono a sostegno dell’Italicum hanno raccolto solo 292 voti, a fronte dei 461 di cui sulla carta disporrebbero. L’opposizione ha raggiunto quota 292 voti favorevoli. In totale i votanti erano 529, in aumento rispetto alla votazione precedente. Già nei giorni scorsi i segnali non erano stati positivi: alla maggioranza allargata a Forza Italia erano mancati in media almeno 100 voti.

Sì a norma “pro Forza Sud”
Tra gli emendamenti la Camera ha approvato una norma – proposta da Massimo Parisi (Forza Italia, vicino a Denis Verdini) – che fa da filtro alle liste civetta, ma che favorisce invece il progetto di Forza Sud, vale a dire una eventuale formazione collegata a Forza Italia che si presenterebbe solo in alcune Regioni del Mezzogiorno presentando candidati capaci di raccogliere molti voti. Il testo varato dalla Commissione prevedeva che ai fini del conteggio dei voti di una coalizione, fossero escluse le liste che non si presentavano in “almeno un quarto dei collegi plurinominali”, proprio per escludere le piccole liste localistiche con funzioni di civetta. Ma questa soluzione escludeva a priori i partiti a carattere regionale, come il Partito Sardo d’Azione, i cui elettori, ha spiegato Parisi, “sarebbero stati sicuri che i loro voti non sarebbero valsi a nulla ai fini del computo della percentuale della coalizione”. L’emendamento Parisi ammette invece anche i partiti che i presentano in meno di un quarto dei collegi, purché superino la soglia nazionale del 4,5% che poi consente il riparto dei seggi. Questa soluzione, quindi, taglia ancora fuori le liste localistiche o civetta, ma dà buone chance a partiti territorialmente limitati ma localmente forti. Non si tratta tanto della Lega Nord, che comunque da anni presenta liste in più di un quarto dei collegi (in tutto il centro-nord), bensì appunto di una eventuale Forza Sud. Questo progetto, nell’ottica di un forte rinnovamento delle candidature di Forza Italia, raccoglierebbe tutti i candidati delle Regioni meridionali (Campania, Sicilia, Puglia e Calabria) con una forte capacità di raccolta di voti sul territorio. In questo modo l’offerta politica del centrodestra sarebbe diversificata, rivolgendosi agli elettori giovani con Forza Italia e a quelli tradizionali con Forza Sud.

Bocciate le preferenze. Ma la maggioranza perde pezzi
Dopo una lunga discussione dai toni accesi, in cui alcuni esponenti del Pd si erano espressi a favore delle preferenze, come Rosi Bindi e il lettiano Marco Meloni, i presentatori dell’emendamento (Pino Pisicchio, Giancarlo Giorgetti e Gennaro Migliore) sono tornati sui propri passi chiedendo nuovamente che si votasse a scrutinio segreto. Alla fine i voti favorevoli sono stati 236, cioè molto più numerosi di quelli registrati in altri emendamenti proposti dai piccoli partiti (in media 180-190).

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