“Più che un Fisco amico per accorciare le distanze, servirebbe semplicemente un Fisco che non se ne infischi”. Il signor Vincenzo Anemone non ha preso affatto bene l’annuncio in pompa magna dedicato all’approvazione della delega fiscale, la nuova arma in più che ha lo Stato “per riscrivere il sistema fiscale più equo e trasparente”, a partire dalla riforma del catasto degli immobili, e “portare così avanti un rapporto diretto con i contribuenti”. La sua più che una sfiducia nei confronti di una svolta attesa da anni, è l’evidente risposta di un cittadino che vive da oltre un ventennio una surreale storia legata a doppio filo a tasse e mala gestione amministrativa. E che ha raccontato a ilfattoquotidiano.it.

Lo scorso 18 gennaio, Anemone riceve quattro notifiche di cartelle Ici da parte del Comune di Roma per non aver pagato dal 2008 al 2011 l’Imposta dovuta sull’immobile di sua proprietà che si trova in via di Settebagni, 737. Peccato che la casa gli sia stata espropriata per pubblica utilità e, quindi, abbattuta il 5 luglio 1991 dall’Anas, la società per azioni che gestisce la rete stradale e autostradale italiana e il cui unico socio è il ministero dell’Economia, per i lavori di allargamento a tre corsie del Grande Raccordo Anulare

In particolare, l’amministrazione comunale richiede ad Anemone il pagamento entro il 20 marzo 2014 di 4.099,97 euro, di cui 891,52 di sanzione per omesso versamento (pari al 30% dell’imposta dovuta), 235,83 euro di interessi per omesso/parziale versamento e 5,16 euro per le spese di notifica. Senza dimenticare che in questi calcoli il Comune ha previsto una rivalutazione della rendita catastale più alta, perché ha considerato l’immobile come seconda casa. Da visura, infatti, risulta che la famiglia Anemone viva in un altro immobile di proprietà.

Ebbene sì, tocca quindi ammetterlo: il signor Vincenzo, dopo essere stato mandato via dalla casa che aveva costruito nel 1953 e dove risiedeva da 38 anni con moglie, mamma, figlia, figlio, nuora e due nipoti piccoli, rimboccandosi le maniche negli anni successivi all’esproprio, è riuscito a comperarsi un nuovo immobile. Lasciando, tuttavia, senza colpo ferire – nel caso degli espropri per pubblica utilità – un “fabbricato in buono stato di conservazione e manutenzione, composto da tre appartamenti di circa 350 mq totali disposti su due livelli, con caminetto, forno, giardino, 2 garage, cantina e riscaldamento autonomo”. Così come emerge dalla descrizione molto accurata presente nel verbale di immissione in possesso che la Asfalti Sintex Spa fece in nome e per conto dell’Anas il 27 luglio 1990. Compito di questa grande impresa dei cantieri, che ha al suo attivo anche l’appalto dei lavori per l’ammodernamento dell’A3 Salerno-Reggio Calabria, è stato infatti incaricarsi di eseguire tutte le procedure tecniche, amministrative e finanziarie, anche in sede di contenzioso, per l’occupazione degli immobili interessati nel 1990 ai lavori di allargamento a tre corsie del Gra.

È, quindi, ora mai possibile che se anche da 23 anni al km 21,2 dell’anello che circonda Roma non ci sia più la casa di Vincenzo Anemone, ma lo svincolo n° 9 di Via di Settebagni-Bel Poggio, nessuno tra Comune, Catasto e Anas se ne sia mai accorto? Insomma, è il caso di dirlo: oltre il danno, la beffa visto che al signor Anemone non è restato altro che contattare un avvocato e scrivere al Dipartimento Risorse Economiche della Capitale per precisare che quell’immobile non esiste (come da ordinanza del Prefetto di Roma n° 484/5608/90).

Una storia che, certamente, può entrare in una classifica delle assurdità legate alle tasse sulla casa, filone che negli ultimi mesi tra abolizione dell’Ici, introduzione dell’Imu, esenzione Imu per le prime case e reintroduzione della variante mini-Imu, ha generato non poche perplessità e indignazione tra i contribuenti per le troppe regole incomprensibili che vi ruotano attorno. Eppure la storia del signor Anemone va oltre la surreale rappresentazione della cosa pubblica: in questi ultimi 20 anni, infatti, non solo si è dovuto ricostruire una nuova vita in una nuova casa, ma non ha neanche mai ricevuto l’indennizzo previsto per la perdita subita, concordato nel 1991 con l’Anas in una somma pari a circa 330 milioni di lire, fatta eccezione per i pochi milioni di lire ottenuti come indennizzo per il soprassuolo, vale a dire i muretti esterni, i recenti e le decine di piante che circondavano la casa.

Anche in questo caso la macchina burocratica si è inceppata diverse volte tra scarichi di competenze, carte mancanti, rinvii delle udienze in tribunale e l’ottenimento del “riconoscimento di un’abitazione giuridicamente sanata” arrivato solo nell’aprile del 1998. Documentazione che Anemone spedì anche nel febbraio del 1999 al ministero della Giustizia per chiedere un intervento in merito. E chiara fu la risposta data dal dicastero: “Crediamo di comprendere il suo stato di sconforto per il protrarsi delle cause e per il confronto con le strutture burocratiche che non inducono a pensieri ottimisti”.

Il signor Anemone si dice comunque fiducioso e vorrebbe tanto vedere finalmente risolta la sua strana storia. Non ci sta proprio a essere considerato un furbetto dell’Imu, alla stregua di chi – per non pagare l’Imposta comunale – al controllo della Guardia di Finanza (è il caso di un avvocato barese) ha fatto trovare nel salone della sua bellissima villa decine di pecore, perché l’immobile era accatastato come stalla.

Ilfattoquotidiano.it ha cercato più volte di mettersi in contatto con il Comune di Roma – Direzione Entrate fiscali per chiedere delle spiegazioni in merito, ma il tentativo si è arenato dopo il quarto rimpallo telefonico. A rispondere è stato, invece, il responsabile dell’ufficio stampa dell’Anas che non ha ufficialmente preso una posizione, assicurando che si occuperà del caso che si può derubricare a “mancato passaggio di carte“.

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