“Chi va per questi mari, questi pesci piglia”. È un detto popolare ma racconta perfettamente la disinvoltura con cui Matteo Renzi si è scelto i compagni di strada. Per giorni siamo stati qui – tutti – a menarcela con questo impresentabile Gentile, il tipo che chiude la saracinesca sui giornali, ma è un atteggiamento tutto italiano quello di valutare le cose soltanto quando esplodono e non invece quando progressivamente accadono nel tempo.

Adesso che il buon Gentile si è fatto da parte, si metterà in moto con Formigoni lo stesso meccanismo: il rinvio a giudizio riporterà a galla la nostra indignazione, che nel frattempo si era inabissata su fondali imperscrutabili. Ma l’ex governatore dell’amata Lombardia non era forse già (politicamente) valutabile prima che i giudici di Milano ne sancissero ufficialmente l’ingresso in un’aula di giustizia, non bastavano forse le sue allegre vacanze senza ricevuta a ricavare un’unghia di perplessità, molto prima di arrivare alle pesantissime accuse di corruzione e associazione a delinquere? È stato così anche per Gentile: abbiamo dovuto aspettare che sprangasse addirittura un giornale (il quale legittimamente voleva scrivere sulle magagne del figliolo) per concludere che la sua permanenza al governo non era (più) consigliata.

Da qualche giorno, e oggi anche di più, Matteo Renzi è tornato sulla terra. Fare un governo, farsi un governo, sulle macerie del precedente, non poteva che incancrenire situazioni delicate che già esistevano, alle quali il povero Enrico Letta aveva dato un peso inferiore semplicemente perché non aveva mai stabilito l’asticella etica del suo esecutivo. Per cui, una volta mostrare la muscolatura solo perché il ministro era debole (il caso Idem), un’altra, invece, accucciarsi indecentemente sotto la protervia di Alfano, che sul caso Shalabayeva aveva infranto ogni principio di diritto, solo perché avrebbe potuto far saltare il banco. Per arrivare, poi, con l’indecoroso comportamento della Cancellieri all’apoteosi del beato inconsapevole.

Tutte situazioni che Matteo Renzi, a suo dire, ha vissuto dall’esterno con autentica sofferenza, avendo per l’etica, o almeno i suoi derivati, una certa predisposizione. Su questo ha costruito la sua carriera, sul decoro dei comportamenti, su questo i cittadini avrebbero sperato di dargli il voto. Decidere di prendersi il governo come poi ha fatto, senza lo straccio di un voto, gli ha forse giovato sul breve, anzi sul brevissimo. Ha vissuto qualche giorno di entusiastica apnea, girando per scuole e comuni, poi è tornato a terra, rovinosamente.

Siamo sempre alla solita storia: i compagni di strada. Chi se li cerca e chi se li trova. Chi se li trova, in genere, sull’etica non può fare la voce grossa, tende inevitabilmente e pericolosamente al compromesso, a dipendere da “altri”, a subire ciò che in un’altra condizione non subirebbe per più di un nanosecondo. Sono le classiche intese tra contrari, in cui il terreno di più fragile discussione sono proprio le qualità morali dei  comportamenti. Se non ci si trova d’accordo con un battito di ciglia, con un’occhiata di rapidissima intesa, allora è meglio prendersi una pausa e chiedersi se si sta facendo davvero l’interesse dei cittadini.

Lei questo ce lo deve, gentile Presidente del Consiglio. Abbiamo la necessità di capire da che parte sta e, soprattutto, chi comanda al governo. Se comanda lei, come gira voce, indichi la porta agli impresentabili. In un tempo veloce, molto veloce. Come piace a lei, no?  

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