Vi regalano 200 euro a patto che facciate un investimento. Voi ci mettete appena 10 euro e alla fine di tutto, con i soldi che vi hanno donato, vi restano 130 euro puliti. Ci stareste, vero? Del resto è un buon affare. Potere degli incentivi alle fonti di energia rinnovabile, come quelli a cui aspira la Teknosolar Italia 2 per costruire in Basilicata una centrale solare termodinamica da 50 MW. Solo che a Banzi, il paesino di 1.300 anime in provincia di Potenza che è stato scelto per l’impianto, la popolazione è in rivolta, perché gli specchi parabolici che dovrebbero catturare i raggi del sole si porterebbero via 226 ettari di terreno agricolo. Dimensione che corrisponde altre 200 campi da calcio, in buona parte da espropriare a privati. Per non parlare del consumo di suolo, dell’inquinamento e dei rischi di incendio che, secondo chi protesta, l’impianto si porterebbe dietro.

Con questi incentivi, l’affare è fatto – Dietro alla Teknosolar Italia 2 c’è Estaban Morras Andrès, un imprenditore spagnolo che nel suo Paese ha già installato alcuni impianti analoghi: i raggi del sole vengono deviati dagli specchi in modo da riscaldare un fluido, che viene utilizzato per generare vapore ad alta temperatura e pressione. Il vapore viene immesso in una turbina per produrre energia elettrica, alla cui generazione contribuirà fino al 15% anche il gas metano, una fonte non rinnovabile che serve a garantire continuità all’impianto. Un accumulatore a sali permette poi di immagazzinare il calore per produrre energia di notte, quando il sole non c’è più. La tecnologia è stata sviluppata negli anni passati con il contributo del premio Nobel Carlo Rubbia, considerato uno dei padri del solare termodinamico.

Ma qui quello che sembra prodigioso, più che la produzione di energia dal sole, è il quadro economico presentato da Teknosolar. Se il progetto venisse approvato, infatti, la società ci metterebbe solo 60 milioni di euro di capitale proprio, che sommati ai 240 prestati dalle banche porterebbero l’investimento totale a 300 milioni. Nei 25 anni di vita dell’impianto, Teknosolar riceverebbe quasi 1,2 miliardi di incentivi, tutti soldi pagati dagli italiani con le bollette dell’elettricità. Più di quattro volte il valore sul mercato dell’energia prodotta, pari ad appena 280 milioni. A fronte di ricavi per 1,48 miliardi, i costi per la gestione della centrale nell’arco dei 25 anni sarebbero di circa 255 milioni, gli interessi da pagare alla banche 167 milioni. Insomma, alla Teknosolar rimarrebbe un bel guadagno, non c’è che dire. Grazie soprattutto agli incentivi che il decreto del 6 luglio 2012 del ministero dello Sviluppo economico ha reso piuttosto generosi per il solare termodinamico: 0,304 euro per ogni Kwh di energia vendibile che è stata prodotta.

L’amministratore delegato di Teknosolar, Giovanni Fragasso, la chiama “vocazione etica”. Ma con questi numeri viene il sospetto che dietro l’operazione ci sia un più basso intento speculativo. Ipotesi contestata da Paolo Martini, consigliere delegato per le strategie di mercato di Anest, l’Associazione nazionale energia solare termodinamica che riunisce le imprese interessate allo sviluppo del settore e fa attività di lobbying per promuovere questa tecnologia. “Gli incentivi consentono alla società che investe di ottenere un rendimento annuo del 10-13 per cento, paragonabile al ritorno che si aspetta chiunque faccia impresa. Nessuna speculazione, dunque”, sostiene Martini.

Catturare i raggi del sole in Italia? Meglio farlo nel deserto
L’Italia non ha condizioni ottimali per il solare termodinamico. Per questo gli incentivi sono alti. Serve infatti molto sole, senza nuvole: a differenza del fotovoltaico questa tecnologia può sfruttare solo le radiazioni dirette e non quelle diffuse. “Il solare termodinamico è più adatto ai paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, dove ci sono aree desertiche”, ammette Martini. Ma allora che senso ha iniziare a costruire impianti del genere in Italia? Dal ministero dello Sviluppo economico spiegano che “sulle fonti rinnovabili abbiamo degli obblighi imposti dall’Unione europea per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. C’è quindi un progresso da effettuare nella quota di energia prodotta con le rinnovabili”. Basta però un dato per capire che in Italia il contributo del solare termodinamico sarà trascurabile. Su un totale di potenza installata che nel 2012 è stata di 128 GW, le rinnovabili hanno contribuito per 47,3 GW. Gli incentivi al solare termodinamico sono stati pensati per installare 250 MW, appena lo 0,5 per cento delle rinnovabili già esistenti.

Non solo energia verde, la lobby vuole crescere
I vantaggi maggiori dell’incentivazione, più che sull’aumento della quota da fonte rinnovabile, saranno sulla filiera produttiva, sempre che parta uno dei cinque o sei progetti in fase di elaborazione in Basilicata, Sardegna e Sicilia. Dal ministero ammettono infatti che sulla definizione degli incentivi ha influito “la messa a punto negli anni scorsi da parte di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ndr), insieme ad alcune industrie nazionali, di una tecnologia che sembrava promettente. Si è voluto sostenere un sistema industriale in sviluppo”.

Che dietro ci siano gli interessi delle imprese del settore è chiaro anche dalle parole di Martini: “Gli incentivi sono necessari per supportare la filiera italiana in modo che, una volta fatta esperienza qua, possa esportare questa tecnologia all’estero. Come ora fanno gli spagnoli, che hanno costruito nel loro Paese impianti per 2 GW”. Una volta che le nostre imprese si saranno dotate delle giuste referenze, secondo Martini, potranno per esempio cercare di aggiudicarsi appalti in Arabia Saudita, Paese che ha lanciato un programma da 120 miliardi di euro per produrre 24 GW da solare termodinamico. Per Martini non si può parlare di incentivi eccessivamente elevati, soprattutto se li si paragona con quelli del fotovoltaico, che ha raggiunto una potenza installata di 18 GW e nel 2013 con l’ultimo ‘conto energia’ è stato finanziato con 6,7 miliardi.

“Nel caso di Banzi – dice – sono previsti 1,2 miliardi, distribuiti però su 25 anni. Tutto denaro che andrà a produttori italiani e non a quelli cinesi come è stato per il fotovoltaico”. Anche l’occupazione avrà i suoi vantaggi, secondo l’Anest: alla costruzione della centrale lavorerebbero circa 200 persone per due anni e nei successivi 25 sarebbero impiegati 35 dipendenti per la gestione dell’impianto e 10-15 addetti alla manutenzione.

C’è chi dice no
Con 1,2 miliardi di incentivi, altro che 50 posti di lavoro si possono creare, dicono gli abitanti di Banzi, di Palazzo San Gervasio, di Spinazzola (Barletta-Andria-Trani) e degli altri comuni della zona. La loro protesta va avanti, per impedire che una bella campagna venga trasformata prima in un cantiere e poi in un’enorme distesa di specchi. Con il rischio di incendi che, secondo gli attivisti di comitati e associazioni, si aggiunge a inquinamento ed eccessivo consumo di acqua. Il progetto, che ha già subito la bocciatura della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, è addirittura illegale secondo Donato Cancellara dell’Associazione intercomunale lucana: “Dal momento che il 15% dell’energia sarà prodotta con gas metano, che non è una fonte rinnovabile, l’impianto è ibrido. E quindi per legge non può essere costruito su terreni agricoli”.

Contraria alla centrale di Banzi è anche Legambiente, che a livello nazionale ha appoggiato gli incentivi al solare termodinamico: “Sì a questo tipo di impianti, ma non se sono frutto di progetti inadeguati e non condivisi con il territorio”, è la posizione di Legambiente Basilicata, che denuncia pure l’eccessivo consumo di suolo: “E’ evidente che un impianto di queste dimensioni troverebbe sicuramente una più giusta collocazione in un’area industriale e non in campagna”. Parola ora a Regione Basilicata. Per una vicenda che potrebbe anche finire in tribunale.

twitter: @gigi_gno

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