L’intervento che la Russia prepara in Ucraina è solo l’ultimo di una lunga serie di invasioni in paesi vicini o satellite che costellano la sua storia. Sabato l’approvazione da parte del Senato russo della richiesta di Putin di inviare “forze armate in territorio ucraino” potrebbe preludere a un’operazione militare nell’ex Repubblica sovietica, di fatto un’invasione, che si aggiungerebbe a quelle degli ultimi 50 anni: l’Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia a fine anni Sessanta, l’Afghanistan fra i Settanta e gli Ottanta e – dopo la fine dell’Urss – la Georgia nel 2008.

Nel 1945, dopo la sconfitta dell’Ungheria nella Seconda Guerra Mondiale, inizia l’occupazione del Paese da parte dell’Urss, che durerà 45 anni, fino al 1991, ovvero poco prima del collasso dell’Unione Sovietica. Quasi mezzo secolo trascorso però non senza incidenti: nel novembre 1956, una vasta forza militare del Patto di Varsavia guidata da Mosca entra a Budapest per schiacciare la Rivoluzione Ungherese contro il governo comunista e le sue politiche imposte dai sovietici.

L’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia (Bulgaria, Ungheria, Germania dell’Est e Polonia – Romania esclusa) guidate dall’Urss è del 20 agosto 1968, in piena guerra fredda. Obiettivo: fermare la liberalizzazione politica della Primavera di Praga del riformista Alexander Dubcek. I successivi leader del Paese cercano di ripristinare i valori che avevano prevalso prima di Dubcek, grazie al controllo del Partito Comunista.

Vent’anni dopo l’Armata rossa invade l’Afghanistan. E’ il dicembre 1979, Leonid Brezhnev ordina l’attacco, che per i generali sovietici dovrebbe essere rapido ed efficace. Durerà invece nove anni, fino al febbraio 1989, e passerà alla storia come la più grande sconfitta della potenza militare russa. Milioni di afghani fuggono dal Paese mentre le forze afghane guidate dai sovietici combattono contro i Mujahideen dell’Unità Islamica degli sciiti afghani, sostenuti dagli Usa attraverso Pakistan e Arabia saudita. Solo l’arrivo di Mikhail Gorbaciov al Cremlino porrà fine agli scontri, con il completamento del ritiro delle forze dell’Urss nel 1989.

Diciannove anni dopo la Georgia entra nel mirino di Mosca. Il 9 agosto 2008 il ministro degli Esteri dell’ex repubblica sovietica denuncia “l’invasione” della Russia e chiede l’aiuto della comunità internazionale. Lo stesso giorno, l’allora presidente, l’antirusso Mikhail Saakashvili, dichiara che la Georgia “è in stato di guerra” con la Russia. Un’invasione, quella della Russia, dettata dall’offensiva militare su larga scala che la Georgia aveva sferrato nella notte del 7-8 agosto contro l’Ossezia del Sud, nel tentativo di riprendersi il territorio. Tbilisi sosteneva di rispondere ad attacchi contro i suoi peacekeeper e villaggi nell’Ossezia del Sud, e che la Russia stava spostando unità militari nel Paese. Grazie alla mediazione della presidenza francese della Ue, le parti raggiungono il cessate-il-fuoco nell’agosto 2008. Ma Ossezia del Sud e Abkhazia si confermano de facto separate dalla Georgia. Di lì a poco vengono riconosciute come indipendenti da Mosca.

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