La rivoluzione ucraina cancella anche i Berkut, i famigerati agenti anti sommossa accusati di uccisioni, sequestri e torture durante la protesta del Maidan. Senza neppure attendere il nuovo governo, il ministro dell’interno ad interim Arsen Avakov ne ha decretato lo scioglimento.

 “I Berkut non esistono più”, ha annunciato sulla sua pagina Facebook. Erano loro – nel racconto di Maidan – il volto feroce della repressione del potere di Viktor Yanukovich, la punta di lancia della macchina della brutalità contro i manifestanti: sono ormai numerosi filmati e foto che li immortalano mentre sparano proiettili veri, anche con fucili di precisione, contro la folla. Il bilancio finale – nel fuoco incrociato con i gruppi armati della protesta – è stato alla fine di 83 morti, tra cui anche una quindicina di poliziotti.

Le teste di cuoio ucraine erano come un Giano bifronte: “eroi” nelle regioni russofone sud-orientali, quelle dove Ianukovich aveva la sua roccaforte economica ed elettorale, “mostri” nell’Ucraina centro-occidentale, quella filo europea o nazionalista. A Leopoli, ad esempio, i manifestanti li hanno costretti ad inginocchiarsi per chiedere scusa del loro operato a Kiev. Da oggi tutti i 5mila Berkut sono senza un lavoro, tanto che in Russia ci si preoccupa per la loro sorte, meno per la fine del loro arsenale. Aleksandr Zhilkin, governatore di Astrakan, sud della Russia, ha offerto loro ospitalità via twitter, mentre molti imprenditori locali si sono già dichiarati pronti ad assumere le ‘teste di cuoio’.

Intanto Vladimir Putin mostra i muscoli dell’esercito. Come comandante in capo, ha ordinato una gigantesca esercitazione militare con 150mila uomini per testare la capacità di reazione delle truppe nei distretti centrale e occidentale, quest’ultimo confinante in parte con l’Ucraina. Un’operazione non collegata con la crisi a Kiev, si è affrettato a precisare il ministro della Difesa Serghiei Shoigu, senza escludere però che alcune manovre possano tenersi ai confini con l’Ucraina. Quanto basta per lanciare il messaggio che serve, ossia che Mosca è pronta a qualsiasi opzione, anche quella militare. L’obiettivo, ha spiegato Shoigu, “è controllare la capacità dell’esercito di operare in situazioni di crisi che rappresentano una minaccia bellica alla sicurezza del Paese e anche di carattere terroristico, epidemiologico e tecnologico”. Uno scenario ampio, che comprende tutto.

“L’esercitazion” che durerà sino al 3 marzo impegna 90 aerei, 120 elicotteri, 880 carri armati, oltre 1200 mezzi di vario genere e sino a 80 navi della flotta del Nord e del Mar Baltico, ma non del Mar Nero. Il primo test del genere, dopo circa 20 anni, fu ordinato da Putin nel cuore della notte lo scorso febbraio e riguardò il distretto militare centrale, mentre un mese dopo furono disposte manovre navali sul Mar Nero. Seguirono altre due esercitazioni, in maggio per tutta l’aviazione e in luglio nel distretto orientale per quasi tutti i tipi di arma, con 150 mila uomini.

Questa volta, oltre alle truppe di terra, sono stati mobilitati anche il comando della difesa aerea spaziale, dei paracadutisti, dell’aviazione cargo e di lunga gittata. Ad avvalorare la tesi che Mosca stia scaldando i muscoli per ogni evenienza, c’è anche l’annuncio di Shoigu che la Russia prende “le misure per garantire la sicurezza delle nostre installazioni, delle nostre infrastrutture e del nostro arsenale della flotta del Mar Nero”. “Seguiamo attentamente ciò che capita in Crimea e tutto quello che succede intorno alla flotta del Mar Nero”, ha aggiunto.

Intanto a Yalta sono giunti soldati di leva da Sebastopoli per tutelare il sanatorio della flotta del Mar Nero, che attualmente ospita 31 persone, come ha riferito il suo direttore. Ieri invece sono comparsi due blindati a Sebastopoli, che ospita la flotta russa del Mar Nero. Del resto in Crimea la tensione resta alta, come dimostrano i tafferugli oggi tra migliaia di tartari musulmani e manifestanti filorussi davanti al parlamento di Sinferopoli, la capitale. Putin per ora mantiene il suo silenzio sull’arrivo di un nuovo potere a Kiev e sulla destituzione del presidente Viktor Yanukovich, che alcuni fonti indicano in Russia (forse in transito per altre destinazioni) ed altre invece ancora in Ucraina. Ma se la linea dettata ufficialmente dal ministro degli esteri russo Serghei Lavrov è quella di non interferire, il Cremlino alza indirettamente i toni con messaggi trasversali mentre deputati e senatori russi fanno la spola in Crimea. Intanto la Vtb, una delle maggiori banche statali russe, tra quelle più esposte in Ucraina, chiude i rubinetti dei prestiti al “Paese fratello”: un segno di ulteriore pressione su Kiev.

 

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