David Garrett, violinista tedesco-statunitense classe 1980, è una superstar di livello internazionale con un vasto repertorio di musica rock adattato all’orchestra e più di 2 milioni e mezzo di dischi venduti. Quando il regista Bernard Rose lo incontrò rimase folgorato, oltre che dal talento, anche dall’energia che il compositore metteva in scena in ogni sua esibizione, a tal punto da volerlo a tutti i costi come protagonista della sua pellicola Il violinista del diavolo.

L’idea, dopo diversi anni di ricerca sul personaggio di Niccolò Paganini, era quella di raccontare uno spaccato della vita del musicista genovese divenuto leggenda. Così, alternando il mito a fatti realmente accaduti, Rose inizia a narrare partendo dal 1830, periodo in cui Paganini era all’apice della carriera, acclamato in tutta Europa e accompagnato da un alone di mistero che in gran parte contribuì a rendere così celebrata la sua vita privata. Il nome del violinista era sinonimo di amori promiscui, di scandali e depravazione, aspetto che, legato al suo virtuosismo anticonvenzionale e ineguagliabile, aveva spinto le malelingue dell’epoca a pensare che per arrivare a un tale livello di perfezione avesse stretto un patto con il diavolo in persona.

Gran parte della sceneggiatura è incentrata su questo aspetto e sulla controversa figura di Urbani, il manager dell’artista, tanto abile quanto diabolico, interpretato da un impeccabile Jared Harris, ottima controparte attoriale del protagonista al suo debutto cinematografico. Per Rose non deve essere stato difficile romanzare la breve esistenza del musicista che già di per sé rimane in bilico tra realtà e finzione. Una figura che si spinse talmente oltre ogni eccesso tanto da vedersi negata la sepoltura in terra consacrata, il 27 maggio del 1840, al momento della morte, per via delle voci sul suo conto e della sua cattiva reputazione. Certo, per interpretare un talento del genere non sarebbe stato possibile scegliere un attore che vestisse i panni del musicista, al contrario, bisognava trovare un violinista all’altezza del personaggio storico.

Per quanto giovane, Garrett è da molti anni una personalità di spicco all’interno del mondo della musica. Il più giovane violinista a firmare un contratto esclusivo con la Deutsche Grammophon, all’età di soli 13 anni e dal 2008 nel Guinness dei primati per aver eseguito il volo del calabrone, in un minuto e sei secondi. Un violinista acclamato come una rockstar, grande vantaggio per il regista che si è ritrovato tra le mani un attore che la vita da tournée la conosce bene, vivendo ogni giorno secondo i ritmi incalzanti dei palchi di mezzo mondo e che quindi ha potuto contribuire anche allo sviluppo della sceneggiatura. E non solo, perché Garrett oltre a debuttare davanti alla macchina da presa, ha coscritto la colonna sonora del film insieme a Franck van der Heijden.

“Paganini fu la prima rockstar, un genio eccentrico, un Jimi Hendrix della sua epoca” ha detto Garrett a Roma in conferenza stampa e in effetti il film rispecchia il suo pensiero, dipingendo il violinista come un innovatore, un precursore tutto perdizione e sregolatezza che a vederlo oggi accosteremmo più facilmente a Keith Richards piuttosto che a Vivaldi. Un uomo custode di un talento raro che fu allo stesso tempo la sua fortuna e la sua rovina, sapiente artefice della propria immagine secondo i canoni del “purché se ne parli” di Wilde. Rose e Garrett mettono in scena la storia di Paganini da questa prospettiva, raccontando la vita di uno dei più grandi compositori di sempre che prese le redini della propria carriera costruendo il mito attorno a sé, scendendo più di una volta a compromessi fino ad arrivare a perdere tutto.

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