Un discorso a braccio, ma senza il calore dei discorsi a braccio. Lungo, troppo lungo, con un finale dilatato e oltremodo retorico. Settanta minuti con l’ambizione di essere il Conte Mascetti, fermandosi però appena sopra il bagnino Mario di Panariello. Qualche buona battuta (anzitutto contro i 5 Stelle: dialetticamente ci divertiremo, politicamente no). Quel “non ci sono alibi” che va condiviso. E poco, poco altro da salvare. Renzi ha insistito sul “ruolo chiave della scuola”, ma alla Pubblica Istruzione ha messo una di Sciolta Civica per garantirsi i voti dei montiani (alla faccia del Ministero chiave). Nel momento esatto in cui ha promesso che “sarebbe entrato nel vivo”, ha puntualmente aumentato le tapioche prematurate. Qua e là ha buttato anglismi a caso, tipo Nicole Minetti che “briffava later e see you soon” (“Le start-up nascono e muoiono”. Parole forti). Citazionismi volutamente fuoriluogo (Gigliola Cinquetti) per dimostrare di essere fuori dagli schemi e dunque non paludato come “la casta”. Melassa sparsa qua e là sulla bellezza dei musei, jovanottismi allo stato brado e la musica cibo dell’anima, asili e incidenti stradali, “noi siamo il bene che ha speranza” e gli altri i cattivoni che sanno solo odiare (questa l’ho già sentita).

Bello il riferimento alla ragazza sfregiata dall’ex fidanzato, a cui Renzi ha telefonato prima del discorso (e non ha mancato di ricordarlo a tutti). Strepitoso il coraggio nel ringraziare Letta, roba che in confronto Bruto era iscritto ad Amnesty International. Mimica arrogante e sborona, con tanto di mani in tasca e sorrisetto “io so’ figo” (‘nzomma), ma più arrivavano fischi dal M5S e più si innervosiva, fino al ricordare piccatamente che “Io ho vinto in Basilicata e voi no” (il passo successivo sarebbe stato: “Mia mamma mi ha fatto il panino con la mortadella ma lo mangio tutto io e a voi non ve lo do, tiè”). A guardarlo sembrava “uno di quei bambini a cui il maestro ha messo la lode e gongola davanti ai compagni” (cit. Michele Bello). Stampa e tivù lo hanno abituato a non ricevere critiche: in Parlamento sarà appena diverso. E anche gli applausi del Senato non mi sono parsi esattamente calorosissimi.

Tanti buoni – o accettabili – propositi, che però muoiono sul nascere perché Parlamento e maggioranza rimangono gli stessi di quelli di Letta, e parlare di “cambiamenti” e “sfida epocale” con accanto Alfano e Lupi fa ridere gli zebedei. Sarà un tirare a campare, altro che “una riforma al mese” – infatti l’Italicum adesso va approvato non più “entro febbraio” ma “entro sei mesi”. È stata la solita zuppa del Renzi: dire nulla ma dirlo bene, vendere fumo e neanche di gran qualità (ma saperlo vendere).  Un discorso da 5.5 o 6-. Molto abile a dare enfasi alle supercazzole, Matteo Renzi resta un furbacchione di medio talento che ne abbindolerà tanti: oltre l’ambizione non c’è di più, ma a molti italiani – per un po’ – basterà.

p.s.: fateci caso: Alfano inquadrato a metà era più carismatico di quando lo inquadrano in primo piano.

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