Nemmeno il calcio è immune alla estrema polarizzazione politica in corso in Egitto e la federazione calcistica nazionale ha il suo gran daffare. 

L’ultimo deferimento riguarda Salah Amin, calciatore del Tala’ea El-Geish, che durante la partita della scorsa settimana con l’Ismaili ha manifestato il suo sostegno al maresciallo Abdel Fattah al-Sisi, l’uomo forte del Cairo.

Un altro gesto politico, stavolta in un palcoscenico internazionale, aveva visto protagonista tre mesi fa Ahmed Abdel Zahir, calciatore dell’Ahly, che il 10 novembre 2013 nel corso della finale della Coppa dei campioni africana aveva fatto il segno delle quattro dita per ricordare i morti delle manifestazioni di agosto a Rabaa (che in arabo significa quarto).

Hanno problemi anche gli arbitri, almeno gli ex. L’ex “giacchetta nera” internazionale Nasser Sadek – ora commentatore per Al-Jazeera – è in attesa di un provvedimento disciplinare, se non di peggio, per aver dato sostegno alla “rivoluzione del 30 giugno” 2012 che portò al potere Mohamed Morsi, deposto un anno dopo. 

Nulla di particolarmente serio (Zahir per un po’ non verrà più convocato in nazionale e Amin rischia tre mesi di squalifica) e neanche di esclusivamente egiziano: sulla partecipazione politica dei calciatori si potrebbero scrivere libri (come ha fatto, e bene, Paolo Sollier).

Il pensiero però va immediatamente al massacro di Port Said del 1° febbraio 2012, ai più di 70 morti nella tifoseria dell’Ahly, protagonista della “rivoluzione del 25 gennaio” 2011 che spodestò Hosni Mubarak.

Un massacro che portò un anno dopo a un processo, terminato con oltre 20 condanne alla pena capitale, in un clima da guerra civile che provocò decine di morti.

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