Dopo il totò (e non toto) nomi dei ministri, ivi incluso il delicatissimo ruolo di Guardasigilli, abbiamo finalmente il nuovo ministro della Giustizia: Andrea Orlando, nato a La Spezia l’8 febbraio 1969, parlamentare del Partito democratico dal 2006, ha fatto parte delle Commissioni Bilancio, Politiche dell’Unione Europea, Giustizia e della Commissione parlamentare Antimafia. Nel governo Letta è stato Ministro dell’Ambiente. Ha cominciato l’attività politica da giovanissimo e nel 2003 è diventato vice responsabile nazionale dell’Organizzazione dei Democratici di Sinistra, poi entrando nella segreteria nazionale, responsabile degli Enti Locali. Tra i fondatori del Partito Democratico, nel 2007 ne è diventato il primo responsabile dell’Organizzazione. Dal 2009 presiede il Forum Giustizia del partito.

In pratica è stato scelto per un ruolo chiave (quanto alle riforme, quelle vere s’intende) un politico affidabile, con un profilo da burocrate, che si è occupato anche di giustizia. Ed è quell’anche che può preoccuparci.

Fino all’ultimo è stato accreditato il Pm Gratteri, – all’interno di una ristretta rosa che vedeva tra essi forse anche Barbuto (uno che seriamente si è occupato di giustizia rendendo il tribunale di Torino tra i più efficienti d’Italia, merito evidentemente che nel Paese dei demeriti, si paga), – la cui scelta sarebbe stata anche fortemente simbolica: un messaggio forte alla criminalità organizzata, alla corruzione ma al contempo un magistrato che ha dimostrato di saper adoperare al meglio le misure tecnologiche per snellire la macchina elefantiaca della giustizia, incrostata e restia a qualsivoglia innovazione tecnologica e lenta nel suo intercedere.

Non è dato sapere con certezza chi abbia alla fine affossato il nome di Gratteri, se il siluramento sia avvenuto a seguito del colloquio con il Presidente della Repubblica o con Alfano. Oggi lo stesso CorSera conferma come la scelta sia stata imposta da Napolitano – così come anticipato immediatamente da questo giornale – per motivi tecnici (no ad un magistrato in servizio) e di opportunità (il Guardasigilli è anche titolare dell’azione disciplinare). Sarebbe l’ennesimo atto di grave ingerenza ultra Costituzione.

L’impressione è che abbiano contribuito entrambi e più per altri motivi: il primo incline alle larghe intese, alla politica intesa come moderatrice e insofferente alle vere riforme; il secondo contrario ai “giustizialisti”, il cui significato in Italia assume però toni veramente surreali e grotteschi, poiché da noi si è giustizialisti quando s’invocano parole come legalità, onestà, rettitudine, moralità, certezza della pena, uguaglianza, lotta alla corruzione.

S’imporrebbe una riflessione a riguardo della ipocrisia di Alfano, che dice di guidare il Nuovo Centro Destra laddove è notorio che tra i valori rivendicati dalla destra (extra italiana, s’intende) vi sia sempre quello della legalità. Da noi avviene invece il contrario, no al “giustizialismo”, si ad un ministro sobrio che possibilmente non infastidisca l’impenetrabile ragnatela di malaffare intessuta nei decenni tra politica, legislatore e criminalità. Tra colletti bianchi e colletti insanguinati.

Ridicolo ciò che si è pure letto su CorSera ieri, ossia che l’avvocatura abbia posto un veto su Gratteri vuoi perché non è stata nemmeno interpellata, vuoi perché Gratteri ha estimatori anche nell’avvocatura riformista.

Renzi ha in realtà disegnato un Governo interamente politico, astutamente adoperando come specchietti per le allodole l’età media bassa (48 anni) ed il genere (8 donne su 16 ministri). Inoltre, non ha voluto vicepresidenti per non intaccare il suo decisionismo.

L’auspicio è che noi si ammetta presto di avere sbagliato analisi perché ciò significherebbe che le riforme nel mentre siano state fatte.

La giustizia è una delle riforme prioritarie di questo Paese, perché è fondamentale per ridare un senso ai diritti inviolabili delle persone, alla legalità, alla credibilità dello Stato Italia all’estero. Senza di ciò continueremo a rimanere un Paese cialtrone, paludoso, in balia di una classe dirigente indecente, immorale, autarchica. Continueremmo a rimanere inaffidabili.

Aver consegnato le chiavi della giustizia ad un ex ministro dell’Ambiente, con un profilo tranquillizzante, che solo incidentalmente si è occupato di giustizia (anche se in un suo programma del 2010 si leggono proposte condivisibili quali la semplificazione dei riti processuali civili e la riforma del Csm, che dunque ci aspettiamo vengano immediatamente attuati) crea smarrimento, perché conoscere la giustizia dall’interno ed averla frequentata è importante per comprendere quali siano le metastasi che la aggrediscono. Avere rinunciato ad un simbolo della lotta alla criminalità (col piglio riformista) non preclude certo che un tale percorso riformista ed innovatore si compia.

A lei caro ministro Orlando ora la parola, anzi i fatti. Ci sorprenda e ci smentisca. Ma soprattutto lo faccia presto, perché di malagiustizia si muore ogni giorno. E le vittime non sono solo i cittadini ma anche lo Stato. E non ultimo, la democrazia.

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