Nel giorno in cui Enrico Letta passa le chiavi di Palazzo Chigi a Matteo Renzi con una stretta di mano frettolosa e raggelante, il Ministero dell’Economia e delle Finanze rende pubblico uno stringato rapporto di 13 pagine. Titolo: “Il contributo del Mef alla politica economica del governo Letta”. Data in calce al documento: quella di ieri, 21 febbraio 2014. Il documento, insomma, è stato licenziato dagli uffici ministeriali mentre il segretario del Pd saliva al Quirinale con la lista dei ministri.

Il rapporto rivendica come successi i risultati conseguiti dall’esecutivo caduto dopo appena dieci mesi dall’insediamento: interventi per 45,3 miliardi di euro per il triennio 2013-2015, di cui oltre 25 decisi con la legge di stabilità 2014. “Nel corso di una crisi economica senza precedenti nella sua storia, che ha seguito una lunga fase di crescita stentata, l’Italia ha perso più di 9 punti percentuali di Pil”, è l’incipit. “All’inizio del mandato del Governo l’attività economica si stava riducendo a tassi molto significativi; dopo otto trimestri di contrazione, nel terzo trimestre del 2013 si è finalmente stabilizzata ed è lievemente cresciuta nel quarto”. Parole che ricordano molto da vicino lo sfogo di qualche giorno fa del ministro Saccomanni, ormai uscente: “La ripresa è merito nostro”

“L’Esecutivo ha concentrato i propri sforzi di politica economica nel sostegno dell’attività produttiva e nel miglioramento della competitività della nostre imprese”, si legge ancora nel documento. “E l’unica strada per creare occupazione, assicurare solide prospettive alle generazioni più giovani, limitare il costo del debito pubblico. A tali interventi si sono associate misure a sostegno delle fasce della popolazione più duramente colpite dalla crisi”. Seguono una dozzina di brevi capitoli che entrano nel merito dei singoli interventi, dal pagamento dei debiti dello Stato verso le aziende agli interventi in favore delle “fasce più deboli” e così via. 

Se restassero dubbi sullo stato d’animo con cui la compagine di Letta ha lasciato il testimone nell’indesiderata staffetta, il commiato di Saccomanni dai collaboratori di via XX settembre li spazza via tutti. “Mi sento come un agricoltore che dopo aver dissodato il terreno e aver seminato poi si sente dire che deve andar via perché a febbraio il grano ancora non si raccoglie. Sarà quindi chi verrà dopo a raccogliere i frutti di quello che abbiamo seminato”.

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