Bloccato da più di dieci giorni allo scalo Leonardo da Vinci di Fiumicino (Roma), dopo un viaggio di ritorno dal Cile. Dorme, si lava, passeggia, vive nella terrazza del Terminal tre. Potrebbe sembrare la trama di un film invece è la storia di Roberto Papadia, un genovese di 62 anni che ha vagato in lungo e in largo alla ricerca di un lavoro. Oggi non ha soldi, né una pensione, nessuna prospettiva, né un parente o un amico che lo possa ospitare. “Ho perso tutto, ciò che mi rimane sono quelle due valigie” ci racconta Roberto. A Genova lavorava come ispettore alla sicurezza alla Fincantieri, per un’azienda esterna che nel 2007 chiude i battenti, ma ha lavorato prima ancora come archivista per Il Secolo XIX. Perso il posto di lavoro, Roberto si prende armi e bagagli e decide di andare all’estero. E’ stato in Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Argentina e Cile. Ma la buona sorte non è stata magnanima. E sia per l’età avanzata ma anche per la crisi non è riuscito a sbarcare il lunario. “I miei genitori sono morti nel 2001, qui è il deserto dei tartari, se non hai nessun familiare o ti arrangi o muori. Non ho contributi tali per arrivare ad una pensione”. Roberto si sente un cittadino invisibile. Non vuole chiedere l’elemosina o andare alla Caritas. “E’ più forte di me, non ci riesco, preferisco morire di fame, ma difendere la mia dignità”. Vorrebbe un lavoro, magari legato alle attività agricole, in mezzo alla natura che lui ama tanto. Si sente un cittadino invisibile, uno scarto della società, quando nonostante l’età pensa di avere ancora le energie per contribuire di Irene Buscemi
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