L’Aifa (Agenzia del farmaco) fa un passo in avanti e uno indietro. Venerdì scorso, in piena crisi di governo, il Consiglio dei ministri si riunisce per l’ultima volta e approva la direttiva 2011/62/UE che consente all’Aifa di stilare un elenco di farmaci essenziali vietati all’esportazione parallela. In teoria, se la filiera rispetta la norma (pena sanzione pecuniaria e sospensione), i pazienti non devono più peregrinare da un punto di vendita all’altro alla caccia della confezione salvavita. In pratica, i conti li facciamo tra un mese.

La brutta notizia: in Italia, quintali di medicinali in ottimo stato vengono ancora ritirati dalle farmacie per modifiche, il più delle volte irrilevanti, del foglietto illustrativo. Poi l’Assinde (società privata che gestisce il ritiro) dice che li incenerisce. All’estero da sempre si procede con l’esaurimento delle scorte. Anche il decreto del Fare, approvato il 20 agosto 2013, lo prevede: “Nei casi di modificazioni apportate al foglietto illustrativo – si legge all’art. 44 -, l’Aifa autorizza la vendita al pubblico delle scorte, subordinandola alla consegna al cliente, a cura del farmacista, di un foglietto illustrativo sostitutivo conforme a quello autorizzato”. Eppure dopo sei mesi manca ancora il decreto attuativo e le belle intenzioni rimangono lettera morta. Uno sforzo l’Aifa lo fa pure: a novembre lancia la Banca dati del farmaco da cui si può stampare il foglietto illustrativo destinato al paziente e il riassunto delle caratteristiche del prodotto (cioè la “scheda tecnica”) per gli operatori sanitari. Anche quelli aggiornati? L’Aifa non lo dice e per ora non autorizza i farmacisti a sostituire il “bugiardino”.

Non sarebbe la prima volta se il tentativo fallisse. Ci prova l’allora ministro della Salute Livia Turco a cambiare le regole del gioco con il d.lgs 219/2006 ma il comma 2 prevede un accordo tra l’Aifa, Farmindustria e Federmarma che non arriva mai. Ci riprova il ministro Renato Balduzzi nell’agosto 2012 infilando un articolo ad hoc nella bozza del decreto Sanità ma nel giro di 24 ore sparisce.

Sembra assurdo ma in Italia sono di più i farmaci che vengono ritirati e bruciati (dicono) per ritocchi del “bugiardino”, di quelli gettati perché scaduti: almeno tre milioni in più ogni anno.

Chi c’è dietro questa resistenza? Big Pharma? Può darsi. Ecco perché. L’azionista numero uno di Assinde è Farmindutria, cioè le stesse ditte che producono il farmaco che alla fine dovrebbe diventare cenere. A che scopo visto che tocca a loro rimborsare farmacisti e grossisti del cento per cento della spesa dei farmaci ritirati? Anche se a distanza di un anno. Anche se, molte volte, abbassano il prezzo del prodotto. E visto che sono sempre loro che pagano il servizio di Assinde: 70 centesimi di euro a confezione più un correttivo pari all’1,3 per cento sul valore di indennizzo? Sembra un gioco senza vincitori. I farmaci finiscono in un centro di deposito a Pomezia: qui vengono classificati, si controllano lotti e date di scadenza, si scatta una foto del bollino farmaceutico e delle altre parti della confezione. Ci impiegano sei mesi per fare tutta questa roba. Poi ripartono verso gli inceneritori di Padova, Filago e Ravenna. Nessuno dei responsabili degli impianti però vuole dare chiarimenti. In realtà c’è il rischio, molto alto, che quei farmaci vengano riconfezionati e non distrutti.

Spunta quindi un altro pericolo: l’uso illecito delle fustelle (cioè le etichette applicate sulla confezione) che potrebbero rientrare nei circuiti di rimborsabilità. Quello che accade molto spesso con la pratica del mercato parallelo. 

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