“Un web europeo contro le spie Usa”. E’ questa la proposta della Cancelliera tedesca Angela Merkel per difendere il suo Paese ed il resto dell’Europa dalle “spie” americane. “Provider e server europei che offrano sicurezza ai nostri cittadini in modo che non sia indispensabile inviare e far transitare e-mail e altre forme di comunicazione attraverso l’atlantico”. Ecco l’idea – né nuova, né originale, né, ancora, sufficientemente elaborata a livello tecnologico – della quale Angela Merkel vuole parlare con il suo collega francese François Hollande. E’ il sintomo più evidente dell’insofferenza con la quale i Governi europei guardano alla globalizzazione ed ai suoi effetti.

Altro che auspicabile integrazione economica, sociale e culturale di carattere transnazionale, la globalizzazione è percepita come un’insostenibile limitazione alla sovranità dei singoli Governi, un fenomeno rivoluzionario al quale sembra arrivato il momento di rispondere con un’autentica reazione. Ed è il web che sembra destinato ad essere la prima vittima della reazionaria contro-globalizzazione.

Che si parli di sicurezza nazionale, di privacy dei cittadini, di tassazione internazionale o di concorrenza, c’è una sottile linea rossa che lega le reazioni – talvolta anche scomposte e poche riflettute – dei Governi europei: balcanizzare il web, ricondurne le infrastrutture dentro i confini nazionali e riconsegnare ai singoli Governi, l’assoluta sovranità, sulle grandi internet company.

Angela Merkel invoca l’esigenza di una rete nazionale, Hollande vola negli Usa a chiedere ad Obama di richiamare all’ordine i giganti del web e nel nostro Paese – ai confini dell’impero digitale – qualcuno continua ad invocare l’esigenza di chiedere alle più grandi internet company della terra di aprirsi una partita Iva italiana, come se tanto bastasse a riequilibrare gli effetti della globalizzazione sui mercati. Si tratta di grandi manovre – anzi della punta dell’iceberg di grandi manovre ormai in corso da anni anche al di là dei confini europei – che rappresentano un’autentica dichiarazione di guerra allo strumento di globalizzazione socio-economica per eccellenza: il web.

E’ spietatamente lucida l’analisi che sta alla base di questa contro-globalizzazione: senza il web il mondo non avrebbe conosciuto la globalizzazione e, dunque, eliminare il web – o, almeno, ridisegnarne confini e dinamiche – è il modo più rapido ed efficace per restituire ai Governi nazionali la sovranità che vedono oggi insidiata da nuovi equilibri e, forse, diverse forme di neocolonialismo.

Se, tuttavia, l’analisi è lucida, le conclusioni sono emotive, anacronistiche e, forse, persino, utopistiche. Dovrebbe, infatti, ormai, esser chiaro a tutti che indietro non si torna e che provare a modificare il corso della storia ed ad innalzare dighe e barriere artificiali contro la globalizzazione potrebbe produrre conseguenze difficilmente prevedibili ma pericolose come, spesso, accade quando l’uomo prova a governare fenomeni naturali, arginando fiumi o modificando territori.

E’ urgente promuovere ed investire nella riflessione internazionale sulla governance della Rete ma occorre farlo chiedendosi costantemente come fare in modo di mettere a profitto dei cittadini della nuova comunità globale le straordinarie opportunità ed occasioni offerte dalla globalizzazione e dalla conseguente caduta dei confini socio-economici e culturali e non – come troppo spesso sembra accadere – dichiarando guerra, quasi per principio, al nuovo o ai nuovi protagonisti dell’economia globale.

Agli “spioni” bisognerebbe rispondere con una riflessione attenta sul rapporto tra “pubblico” e “segreto” nell’era del Web, allo strapotere delle internet company a stelle strisce con un ragionamento pacato su come accrescere la competitività delle imprese italiane perché i prossimi giganti del web nascano in Europa ed al ridimensionamento della sovranità dei singoli Governi con nuove forme di governance sovranazionale. Sono sfide fondamentali per il futuro dell’umanità da affrontare con una dose straordinaria di modestia intellettuale e senza pretendere di avere in tasca la soluzione per problemi che nessuno ha, probabilmente, mai neppure immaginato di trovarsi ad affrontare.

Certo, per guardare alle cose di casa nostra, il primo passo è individuare sedi, luoghi e soggetti istituzionali cui affidare queste riflessioni.

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