C’è da chiedersi chi sia (veramente) l’elettore renziano: un liberal di sinistra che ha a cuore mercato e solidarietà sociale, un liquidatore senza troppi scrupoli di passioni e storie controverse e condivise, un cittadino che desidera «solo» vincere e che quindi, sfibrato da troppe sconfitte, cerca solo il piacere estetico/sociale della vittoria, un nuovo elettore che il sindaco di Firenze porta in dote al Partito Democratico e che quindi non è esattamente riconducibile alla sinistra, un pezzetto di tutti questi elettori, o, al fondo, la copia fotostatica del leader, cioè un ‘Grande Immaturo’?

Il duello che si è consumato all’interno del Partito Democratico in questi mesi rimane un inedito assoluto, nonostante gazzette e televisioni abbiano cercato, con richiami al passato, di convincervi che eravamo in presenza dell’ennesima lotta intestina alla sinistra. Non è stato così, non è così, prima di tutto perché Matteo Renzi non è assimilabile a nessuno dei leader che lo hanno preceduto. Lo schema con cui ha preso la segreteria (il potere interno) rappresenta un’assoluta novità nella storia della sinistra, non va mai dimenticata la chirurgica predisposizione alla liquidazione del passato con cui il sindaco fiorentino si è presentato sulla scena, resta nella memoria collettiva la serenità con cui, per la primissima volta, un leader della sinistra ha dichiarato di voler cercare i voti «della destra», e passerà alla storia l’assoluta disinvoltura con cui ha pensato di riportare sul proscenio politico il pregiudicato Berlusconi per farci insieme le riforme che potrebbero cambiare l’assetto istituzionale del Paese rimasto fermo a mezzo secolo fa. 

Elementi, questi, che fanno di Matteo Renzi una personalità radicalmente nuova all’interno della sinistra italiana. Elementi che ognuno ha potuto giudicare da punti di vista diversi, ma concretamente rivoluzionari rispetto all’andamento mesozoico della politica italiana.

Ma insieme a tutto ciò, Matteo Renzi ha mostrato di sé aspetti che fanno seriamente dubitare che possa rappresentare un vero, grande, leader per questa sinistra. Innanzitutto, il senso di responsabilità. Il senso di responsabilità deve portare il politico di rango a vivere con grande equilibrio e serenità il ruolo che ricopre. In questo caso, il ruolo di segretario del primo partito italiano. Vivere bene dentro il suo corpo, «quel corpo» sociale che lo ha portato in quella condizione, vivere con la coscienza necessaria un’esperienza senza farsi assalire da altre smanie pericolose. Essere segretario e soltanto segretario. Consapevole che in ogni organizzazione sociale, la divisione dei ruoli è fondamentale, e che l’unione (condivisa) di condizioni politiche diverse rappresenta una forza e non una debolezza. Che saper essere stimolatore di istanze altrui è virtù molto delicata, che va usata con la grazia e l’intelligenza che proprio la forza di un segretario politico dovrebbe portare in dote a se stesso.

Renzi, drammaticamente, non è riuscito a vivere bene nel proprio corpo. Vinta la sua straordinaria battaglia per la conquista della segreteria (dopo un primo rovescio che non lo ha piegato), ha creduto di poter commissariare politicamente tutte le altre posizioni in campo, di poterle interpretare a modo suo, in qualche maniera disporne a suo piacimento. Due su tutte: la presidenza del Consiglio e il ruolo del più grande oppositore. Non essere soddisfatti di ciò che si è, di ciò che si ha, di ciò che si fa, definisce un’instabilità pericolosa, in politica. Definisce soprattutto la propria immaturità, nel segno di una condizione umana che non raggiunge mai lo stato equilibrato della pace (con se stesso e con gli altri).

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