Una centrale a gas di ultima generazione che fornisca energia a basso costo all’Ilva, al porto di Genova, al settore delle riparazioni navali (che attendono l’elettrificazione delle banchine), alle aziende del distretto, all’aeroporto “Colombo” e persino ai residenti di Cornigliano, quartiere di Genova situato lungo la costa nel ponente cittadino. Con intuibili benefici sulle bollette energetiche e di conseguenza sulla competitività sui rispettivi mercati. Un accosto in banchina per Ansaldo Energia da cui spedire le turbine che oggi vengono imbarcate a Massa. Un’area operativa per il gruppo Malacalza (superconduttori) costretto a suo tempo a emigrare da Genova a La Spezia per mancanza di spazi. Oltre 100mila metri quadrati di aree a uso industriale piombano sul tavolo della barcollante imprenditoria genovese. Scorporate dal milione abbondante di metri quadri consegnati dall’Accordo di programma del 2005 all’Ilva di Emilio Riva, che ci aveva impiantato il laminatoio a freddo.

Sull’area immensa a ponente della Lanterna, a ridosso dell’aeroporto di Sestri, per quasi mezzo secolo avevano pulsato gli altoforni dell’Oscar Sinigaglia, prima della costruzione dello stabilimento di Taranto, il più grande centro siderurgico italiano. Ora, il super commissario Enrico Bondi – arrivato all’Ilva dopo l’indagine per l’inquinamento dello stabilimento di Taranto che ha travolto l’azienda  – spariglia le carte, offrendo a Genova un’occasione inattesa per rilanciare produzioni costrette a vivacchiare, per colpa della crisi ma soprattutto per l’endemica mancanza di spazi. Aree pregiate, che fanno gola a tanti. Ansaldo Energia – oltre all’accosto in banchina – guarda con attenzione all’ipotesi della centrale a gas. Potrebbe costruirla assieme a Iren, Abb e gestirla in joint venture. Giuseppe Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia e presidente di Confindustria Genova, al di là del dovuto riserbo istituzionale, ha fatto balenare una forte manifestazione di interesse. E Confindustria Genova verificherà le offerte che perverranno. Oltre ai nodi tecnico-burocratici (l’accordo di programma andrà riscritto) sarà necessario accertare lo stato in cui versano le aree e chiarire chi si accollerà i costi della bonifica delle stesse. Un problema non da poco.

Si dovrà valutare poi se sarà davvero possibile riassorbire i circa 300 esuberi che Ilva lega alla restituzione delle aree alla città. Non tutti però hanno messo lo champagne in frigo in attesa di festeggiare la (piccola) palingenesi. Stefano Zara, ex presidente di Confindustria Genova , già deputato del Pd, alza il sopracciglio, perplesso: “Una città che sia conscia del proprio ruolo istituzionale non si accontenta di raccogliere le briciole di Riva. Pretende di rinegoziare l’Accordo di programma, concependo una risistemazione globale dell’intera area occupata dall’Ilva. Altrimenti ci troveremo sempre di fronte alle richieste al ribasso dell’azienda: oggi trecento occupati in meno, domani altri duecento. La politica del carciofo ci lascerà in braghe di tela”.

Il riutilizzo dell’area dismessa da Ilva va di pari passo con un’altra partita cruciale, quella dell’amianto. L’inchiesta giudiziaria della procura di Genova, che vede centinaia di ex operai indagati e privati delle pensioni già concesse, ha bloccato l’uscita del personale Ilva in possesso dei requisiti per ottenere la pensione anticipata. Duecento persone che, se fossero congedate, potrebbero permettere nuovi ingressi nel mondo del lavoro. “Non capisco perché dovunque si applichi la legge sull’amianto, tranne che a Genova – riflette il governatore della Liguria, Claudio Burlando parlando con Ilfattoquotidiano.it – Giovedì 13 febbraio sarò a Roma per l’incontro con il sottosegretario Dell’Aringa e gliene chiederò conto. Genova è la città italiana più colpita dalle morti per mesotelioma provocato dall’amianto. Porto, riparazioni navali, cantieri, Ansaldo: non si contano i luoghi di lavoro a rischio”.

I progetti dei nuovi insediamenti dovranno essere compatibili e integrabili con la destinazione siderurgica, nelle quattro porzioni sottratte all’accordo di programma firmato nel 2005 – un’era geologica fa – per salvare l’acciaio nella storica capitale nazionale della siderurgia. Il patto con Emilio Riva all’epoca provocò indispettite contrapposizioni in chiave politica e sindacale. Burlando riuscì a piegare le resistenze, politiche e imprenditoriali, a un assetto considerato troppo favorevole agli interessi di Riva. “Quell’accordo salvò la produzione a freddo e risolse il problema dell’inquinamento prodotto dall’altoforno a danno del quartiere di Cornigliano – rivendica Burlando – Va dato atto a Riva di aver investito 800 milioni nel riassetto dello stabilimento. Purtroppo due fattori imprevedibili hanno messo l’accordo in discussione. La crisi economica mondiale, che dura tuttora, ha colpito duramente l’acciaio. E il caso dell’Ilva di Taranto, colpevolmente sottovalutato, ha messo a repentaglio il cuore della produzione a caldo nella filiera dell’acciaio”.

I numeri tuttavia sono impietosi: raccontano che dai 2.200 occupati del 2005 all’Ilva di Genova si è scesi ai 1.740 di oggi, la maggior parte dei quali sottoposti ai contratti di solidarietà, in scadenza a settembre e non rinnovabili. L’Ilva chiede un ulteriore sacrificio negli organici. E la città teme di dover pagare un biglietto extra in termini di occupazione. Il sindacato drizza le orecchie. “Prima della vendita delle aree pensiamo all’occupazione – commenta Bruno Manganaro, segretario Fiom Cgil di Genova – Le strade sono due: o il governo rinnova i contratti di solidarietà o l’Ilva spende 150 milioni per rinnovare la banda stagnata. Difficile, visto che è commissariata“. L’Accordo prevedeva che nessuno perdesse il lavoro, rivendica il sindacato. E invece…

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