Il regista, attore e produttore di Monuments Men (in Italia da giovedì 13 febbraio) è stato accolto come “salvatore del mondo” dai giornalisti presenti alla conferenza stampa che lo hanno invocato dalla Cina al Brasile, ringraziato dal Darfur all’Ucraina, sollecitato dalla Grecia al Messico. George Clooney si è confermato un one man show professionista delle masse: il sorriso, la grazia sotto pelle e soprattutto quella nota simpatia e auto-ironia con le quali da anni riesce a conquistare chiunque. Diciamo subito che la sua quinta fatica dietro la macchina da presa non è un capolavoro, né – forse – voleva esserlo.

Ispirato alla vera storia del micro gruppo di alleati che nel ’44 salvò migliaia di opere d’arte rubate dai nazisti, Monuments Men è un film dai connotati classici: lineare di narrazione e perfetto di confezione, suscita più tenerezza che condanna: il suo intento è quello di divulgare il valore inestimabile dell’arte “bene supremo” con un linguaggio digeribile a tutti. Talmente prezioso che non pone dubbi rispetto al delicato quesito se sia giusto o meno mettere a rischio la vita di un uomo per il bene dell’arte. La risposta – esplicita nel film – è “sì, un’opera d’arte vale la vita di un uomo”. Ed infatti un paio di Monuments Men quella vita la persero. Non è dato sapere se Clooney e i suoi attori (Matt Damon, Cate Blanchett, John Goodman, Bill Murray, Jean Dujardin e Bob Balaban) siano d’accordo, ma tant’è che i loro personaggi – e in particolare quello incarnato proprio da George, il prof d’arte Frank Stokes – non avevano dubbi. Uno per tutti e tutti per l’Arte, come da incarico loro assegnatogli da Roosevelt.

“Volevo un film che risollevasse la questione degli orribili furti nazisti nei musei e nelle chiese europee, per non parlare delle collezioni private sottratte soprattutto agli ebrei. Abbiamo tutti una responsabilità verso la cultura e verso la memoria di uomini che hanno restituito all’umanità pezzi della sua storia”, spiega Clooney, da sempre liberal integralista. Ed eccolo quindi servito su un piatto di impeccabile patina e un tantino di retorica hollywoodiana questo tributo all’arte e alla memoria, privo del cinismo dei suoi precedenti film, ma ricco di leggerezza e una certa abilità nel commuovere: gli uomini dei monumenti erano degli esperti di arte prestati alla guerra, furono chiamati a combatterne una del tutto “particolare” ma non per questo meno feroce.

Articolo Precedente

‘Still life’, successo low budget di Pasolini “grazie a critica e passaparola”

next
Articolo Successivo

Another Promise, il film denuncia sulla fabbrica in cui gli operai si ammalano

next