Ieri il Parlamento scozzese ha approvato una legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Come risulta dai lavori preparatori, per discutere e far passare questa legge ci hanno messo meno di sei mesi.

Come hanno evidenziato gli amici di Avvocatura per i diritti Lgbt – Rete Lenford su un post sul profilo Facebook dell’associazione, è degna di nota “la grande serenità della discussione…e il profondo rispetto tra i deputati di ogni gruppo e verso la Presidenza, nonostante la delicatezza del tema“.

Che sia un tema delicato, non c’è dubbio. Ma come si evince da una lettura dei verbali della deliberazione di ieri (disponibili qui, a partire da p. 36), la discussione è stata del tutto neutrale rispetto alle solite baggianate che si dicono delle persone omosessuali, quantomeno da noi. Per i parlamentari scozzesi, quella del matrimonio tra persone dello stesso sesso “è una questione di uguaglianza, equità e giustizia sociale“.

Non compaiono mai riferimenti, che invece si ritrovano nei verbali delle discussioni in materia di omosessualità, persone omosessuali e coppie omosessuali, alla pedofilia, alla zoofilia, alla necrofilia e ad altre scempiaggini tutte italiane. Non ci sono i vari/le varie Binetti, Giovanardi, Gasparri e altri personaggi in Scozia, pronti a fare battutine e a deridere l’impegno, la dedizione e l’assunzione di responsabilità che caratterizza le coppie gay e lesbiche italiane che, nonostante l’ambiente becero e omofobo in cui vivono, continuano a credere che un giorno le cose cambieranno anche da noi.

Il problema è che la nostra classe politica non ha ancora capito da che parte stare.

Non ha ancora capito che le battaglie in difesa della persona umana si fanno solo se si include l’intera popolazione Lgbt. Che le battaglie contro la discriminazione in generale possono portare a qualche risultato solo se si interessano dei problemi quotidiani, delle aggressioni giornaliere e delle situazioni umane di chi ha un orientamento omosessuale. Aggressioni e situazioni che sono vere, reali, al contrario dei fantasmi che i personaggi sopra citati costantemente agitano.

E’ per questo che provo immensa delusione e anche rabbia quando sento al telegiornale che il premier Enrico Letta andrà a Sochi a presiedere all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali. Non mi intimorisce il fatto che ci vada, quanto piuttosto il fatto che tutti gli altri leader assennati di nazioni civili abbiano deciso di non andarci. Merkel, Hollande, Obama, tutti hanno voluto lanciare un segnale nei confronti della legge russa “contro la propaganda omosessuale”, grazie alla quale oggi i gay e le lesbiche in Russia sono soggetti a trattamenti inumani e degradanti, anzi a veri e propri “safari” e cacce all’uomo, rifiutando gentilmente l’invito. Il ministro norvegese, addirittura, si presenterà con il marito.

E noi, invece, che gioiamo se vince un atleta italiano, pensiamo a quale Paese vogliamo.

E da che parte vogliamo, o dobbiamo, veramente stare.

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