Pensavano di essere tra i primi. Le classifiche di “merito”, quelle basate sulla qualità della ricerca e della didattica li avevano messi sul podio. Ma quando si è trattato di passare ai finanziamenti le cose sono cambiate. Università italiane in subbuglio per le graduatorie sui finanziamenti statali: a sollevare la polemica per primi sono stati i Rettori delle università virtuose, che si sono visti sorpassare da università che avevano ottenuto punteggi più bassi nelle graduatorie di merito pubblicate a luglio.

Chi è stato bravo, insomma, non sempre ha visto riconosciuto lo sforzo e molte volte è rimasto a bocca asciutta. Qualche esempio? L’università più ricca quanto a finanziamenti è la Tuscia di Viterbo, seguita da quella di Teramo; 6600 e 5700 euro a studente rispettivamente, contro i soli 4300 di Padova slittata al venticinquesimo posto, pur essendo la prima nella classifica di merito in sette aree di ricerca su 14. E poi 3700 euro a studente anche per Milano Bicocca, al quarantunesimo posto nei finanziamenti, anche se nella classifica di merito seguiva a ruota Padova in posizione praticamente ex aequo.

Ma c’è anche Verona, terza quanto a risultati e diventata trentaseiesima nella graduatoria dei finanziamenti, con un taglio di 2,1 milioni di euro sul 2012 o Venezia, quinta nella classifica della didattica e della ricerca, scivolata al quarantaquattresimo posto, con 3,2 milioni di euro in meno sullo scorso anno. I conti, insomma, non tornano.

A chiedere per primo un cambiamento dei metodi di conteggio è stato il presidente del Crui (la conferenza dei rettori italiani) Stefano Paleari in un’intervista al Sole 24 ore: “Questo modello di finanziamento è arrivato a fine corsa. Il 2014 è l’occasione di fare un cambio di passo coraggioso”. Una rivoluzione che sembra possibile. Vista anche la data di scadenza, posta dal premier Enrico Letta, che ha fissato al 31 marzo 2014 il termine ultimo per definire il nuovo modello di distribuzione delle risorse.

“I dati sottolineano un problema ormai noto: il modello distributivo dei fondi per la ricerca universitaria in Italia è un retaggio del passato ed è ancora in gran parte legato alla spesa storica degli atenei – ha detto Giuseppe Zaccaria, Rettore di Padova – serve una scelta forte e coraggiosa. Queste sono settimane cruciali. Potrebbe essere l’ultima occasione per portare il merito al centro del discorso: una premialità vera che cancelli meccanismi cripto-assistenzialistici”. Padova non è l’unica, però, a chiedere la rivoluzione. “A che serve impegnarsi a fare bene ed essere ai primi posti in base agli indici di qualità, se poi la ricompensa è una penalizzazione? – ha detto Carlo Carraro – servirebbe una quota incentivante maggiore che rafforzi realmente il peso del merito”. 

La sperequazione non tocca solo per le università venete. Milano Bicocca, al primo posto insieme a Padova per merito si è vista ridurre i fondi di 1,8 milioni di euro. Bologna, settima in base agli indicatori di qualità, ha subito un taglio di 18,6 milioni. Un dato, quest’ultimo, vicino al 5% dello stanziamento complessivo, e pericolosamente vicino alla massima percentuale di riduzione possibile. Sarebbe proprio sul massimale, però, l’origine del problema. Anche alle università che non brillano per merito il ministero non può tagliare i fondi in percentuali superiori al 5%, proprio per la clausola di salvaguardia stabilita in precedenza.

E, a gamba tesa sui “problemi di calcolo” nel dibattito acceso da tempo tra gli addetti ai lavori intanto è intervenuta anche Confindustria. “Proporremo a breve al ministro Maria Chiara Carrozza un nuovo sistema di ranking che valorizzi maggiormente i risultati premiali degli atenei – spiega Gianluca Vigne, delegato di Confindustria per il progetto Univeneto – si tratterà di un sistema condiviso con la Crui per correggere le storture di queste graduatorie. Abbiamo già condiviso l’ipotesi in un incontro a Roma e avviato i lavori”.

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