Per chi, come me, ha vissuto l’adolescenza negli anni Novanta, Willy il Principe di Bel Air è più di una semplice sitcom americana. È un manifesto generazionale, è l’arrivo dell’hip hop nel mercato di massa, è l’inizio degli anni Novanta dopo l’abbuffata degli Ottanta reaganiani. In fondo, Willy è clintonismo prima di Clinton, è l’America che torna a prendersi cura di se stessa, magari con una certa dose di buonismo politically correct, ma con ritrovata voglia di prendersi un po’ in giro, dopo aver vinto la Guerra Fredda.

E rivedere la prima puntata ieri sera su Super!, il canale di De Agostini sul digitale terrestre, è stato davvero emozionante. Ti ritrovi a ripetere le battute a memoria, a gustarti particolari che vent’anni fa, ovviamente, ti erano sfuggiti, e soprattutto ti godi un Will Smith grezzo ma genuino, non ancora trasformatosi nell’attore preferito di Gabriele Muccino. Che è tutto dire.

L’operazione nostalgia di Super! è destinata ad avere successo per una serie di motivi: innanzitutto, la qualità televisiva dei giorni nostri è quella che è, e paradossalmente un ritorno al passato sembra una ventata di aria nuova, e poi, diciamocelo, questo Terzo Millennio, arrivato in pompa magna tra promesse di ricchezza globale e fine delle ideologie, ci ha deluso un bel po’.

Indossiamo la nostra peggiore camicia larga anni Novanta (tutti ne abbiamo una, non barate!) e rituffiamoci nella piscina di zio Phil a Bel Air. Per come vanno le cose adesso, tanto…

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