Oggi non è vero che gli esordienti non trovano ascolto presso le grandi case editrici, come amano lamentarsi. Anzi! 

Nella corsa ai cataloghi sconsideratamente ampi (pubblicare costa poco e una piccola tiratura con anticipo minimo o nullo raggranella pur sempre qualcosa), un aspirante scrittore che maneggi decentemente la scrittura e abbia in mano una buona storia ha molte possibilità di essere “assoldato” da una casa editrice: come fornitore di materia grezza. Con la guida sapiente dell’editor, la materia prima sarà manipolata secondo gli stereotipi della casa editrice e trasformata in romanzoide

Ho un amico docente universitario, in pensione da poco. Ha appena terminato di scrivere un giallo ambientato nella facoltà che ha frequentato per tutta la sua vita lavorativa, luogo di ‘quotidiani piccoli omicidi fra colleghi’, come ha sempre detto. Nel romanzo ne ha inscenato uno durante un convegno, incaricando una giovane ricercatrice di un’indagine fai da te. 
Poiché il mio amico non è uno sprovveduto della scrittura, il giallo ha una trama avvincente e non banale. Ci sono tutti gli elementi perché sia preso in considerazione.
Lo spedisce in prima battuta all’editore nei cui uffici amministrativi lavora sua moglie. Nessuna risposta. Capisce che quella parentela non gli vale il titolo di esordiente di tipo A (lo conosce tizio). Quindi, da esordiente di tipo B (non lo conosce nessuno), invia il dattiloscritto ad altre case editrici.

Gli risponde il curatore di una collana di noir: apprezza il testo ma lo invita a rafforzare la trama gialla e a indagare meglio la vita privata della giovane ricercatrice. Capitoli da ritoccare: 5 su 12.
Nel frattempo un editore di romanzi rivolti a un pubblico femminile lo chiama a colloquio. Hanno trovato gustosa l’ambientazione universitaria, ma chiedono che sia inserita una storia d’amore. Capitoli da ritoccare: 10 su 12.
La terza casa editrice si fa viva con una telefonata. L’editor propone di enfatizzare il lato grottesco dell’ambiente universitario fino a sfiorare il surreale, ‘per dare più carattere’ dice. Riscrivere da cima a fondo. 

Chiuse le tre proposte di revisione in altrettanti bussolotti (magari un giorno tirerà a sorte), il mio amico si svaga a una festa dove gli presentano una agente letteraria che si interessa al suo romanzo e, a stretto giro, ne recapita alcuni capitoli a una casa editrice di antico blasone. Risposta: trama interessante, scrittura valida. Non convincente l’ambientazione universitaria: perché non provare a trasportarlo in una situazione produttiva moderna, una multinazionale per esempio?

Quale che sia la casa editrice i cui consigli il mio amico deciderà di seguire, il suo scritto sarà confezionato come una merendina; la copertina deciderà in che nicchia di mercato posizionarlo, se necessario cambiandone il genere. Trasformata in prodotto editoriale, la sua storia vendicchierà. Piccoli numeri, la casa editrice bacchetterà gli editor e poi li rilancerà in cerca di altri brogliacci da impastare come pongo. 

E noi? Leggeremo libri deludenti e un po’ tutti uguali, mentre i “casi editoriali annunciati” (gli “al lupo! al lupo!” degli uffici stampa a cui personalmente non alzo più nemmeno un ciglio), verranno sempre dall’estero, con rassicurante corredo di rassegna stampa internazionale – e di rado con miglior destino degli esordienti nostrani.
 
Continueremo a chiederci come mai l’ispirazione sia venuta meno, il talento letterario così latente, l’innovazione una chimera. 

E a rimpiangere Gordon Lish, l’editor che costringeva Raymond Carver a scarnificare i suoi testi, il patrono di tutti gli impiegati editoriali stupratori e tiranni. Se non altro Lish era un genio. 

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