L’ultimo passaggio della legge elettorale salva-patria è stato il voto fulmineo imposto nella commissione Affari Costituzionali dal presidente Paolo Sisto, l’avvocato di Ruby nipote di Mubarak. Matteo Renzi auto-assurto a super costituzionalista ha garantito che “non esistono profili di incostituzionalità” e ha bollato quelli che non concordano su Italicum e Imu-Bankitalia come nemici della democrazia. 

Berlusconi l’aveva detto chiaramente che dopo “vent’anni di insulti” ha trovato in Renzi “l’interlocutore” con cui avviare le riforme che “non sono le riforme di Renzi ma le nostre stesse riforme fin dalla nostra discesa in campo“.

L’accordo definitivo, salutato trionfalmente da Denis Verdini da sempre orgoglioso del Porcellum generato dalle larghe intese della sua Toscana, non fa che confermare quanto l’Italicum sia ritagliato sulle esigenze e i diktat di FI che può celebrare incredibilmente in modo insperato il ventennale della “discesa in campo”.

Renzi che dopo mesi di anatemi contro il governo di Letta-junior, ha finito per legare indissolubilmente il varo della riforma elettorale alla permanenza in vita delle ex-larghe intese, ostenta grande soddisfazione e si ascrive i meriti del riformatore-senza-paura che sblocca il paese impantanato. 

Ma non ci vuole molto a vedere che se l’accordo definitivo venisse ratificato così com’è da un Parlamento già esautorato, che in questa legislatura ha visto approvare su un totale di 22 solo 4 leggi di sua iniziativa, il partito che è arrivato terzo otterrebbe tutto.

Secondo quanto siglato nella sede del Pd l’accordo definitivo ribadisce intatto il no alle preferenze, mentre sulle candidature multiple da sempre care al decaduto e ora caldeggiate da Alfano, sulle quali il rottamatore aveva  twittato “non mi ci immolo”, Berlusconi ha avuto partita vinta. Idem sull’incredibile  “salva Lega” determinante per la coalizione di centrodestra. E dettaglio passato sottotraccia, ma tutt’altro che irrilevante, la ridefinizione dei collegi rimane nelle mani “rassicuranti” del governo Napolitano-Letta-Alfano. 

Come presunte “contropartite” Berlusconi ha concesso l’innalzamento della  soglia dal 35% al 37%  per ottenere il premio di maggioranza, tanto per attenuare l’oggettivo aggiramento dei paletti fissati dalla Consulta e la riduzione della soglia di sbarramento dal 5% al 4,5% per chi si presenta in coalizione come contentino per i piccoli.

Quanto al Pd che dopo aver inscenato per anni la commedia della battaglia contro i nominati dal Porcellum si è felicemente uniformato alle “liste corte”, per tentare di rabbonire gli elettori sconcertati aveva  partorito anche la trovata delle primarie “per legge ma non obbligatorie”.

Sempre attingendo dal sistema in vigore in Toscana con un emendamento il Pd voleva istituire per legge a livello nazionale le primarie, ovviamente facoltative, naturalmente a spese del contribuente.  Elezioni vere e proprie indette dal capo dello Stato che facendo le debite proporzioni rispetto ai costi di 1,7 milioni di euro in Toscana nel 2009 dove ha votato solo il 3,9% degli aventi diritto, potrebbero aggirarsi circa sui 30 milioni di euro. 

 Solo che Berlusconi ha detto no e dunque non se ne parla più.

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