Mentre il governo di Enrico Letta, alza il velo sul rapporto dell’Agenda digitale redatto da Francesco Caio, gli operatori della fibra incrociano le dita nella speranza di un intervento politico rapido per il futuro digitale del Paese. Simone Bonnanini, amministratore di Interoute, gigante europeo dello stoccaggio dati (cloud) e proprietario una rete in fibra europea che in Italia, sulla dorsale, è equivalente a quella di Telecom Italia, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it rischi e opportunità di un momento cruciale per lo sviluppo della rete di nuova generazione.

Ingegner Bonannini, quali sono le ipotesi di lavoro che il governo potrebbe prendere in considerazione per la costruzione delle reti di nuova generazione?
Innanzitutto si deve prendere atto che se l’arbitro è anche giocatore non ci sarà mai sana competizione sui servizi e un reale vantaggio per i cittadini. L’unica via di uscita a mio parere è realizzare un’infrastruttura di nuova generazione con la fibra fino a casa, di governance interamente pubblica, messa a disposizione a parità di condizioni tecniche ed economiche a tutti gli operatori di telecomunicazioni, che si faranno poi concorrenza sui servizi. Bisogna però censire tutte le infrastrutture esistenti, costituire una società pubblica delle infrastrutture di telecomunicazione in cui far confluire tutte le opere censite fra cui anche quelle di molte municipalizzate il cui network oggi non è sempre a disposizione degli operatori, anzi talvolta è di ostacolo a causa di posizioni dominanti locali non regolamentate. Ed, infine, imporre una regolamentazione uniforme sul territorio nazionale per il riutilizzo di tutte le infrastrutture esistenti e realizzate con danaro pubblico, con in più l’obbligo di realizzare infrastrutture di telecomunicazioni ogni volta che si scava.

Fra poco il governo alzerà il velo sul rapporto Caio. Che cosa si aspetta dal questo studio?
Esattamente le cose appena elencate, ma con delle date accanto e comprese nell’arco di 12 mesi, perché abbiamo già perso troppo tempo e perché non si può parlare di digitalizzazione della poubblica amministrazione, di fatturazione elettronica, di servizi in cloud e tutto quello che consegue senza aver realizzato prima, o contemporaneamnte, l’infrastruttura. In sostanza, come facciamo a progettare e arredare l’attico se prima non gettiamo le fondamenta? Tanto più che a livello generale, gli investimenti in NGAN sono molto più alti nei vari paesi Europei, al punto che l’Italia esce ultima nel confronto all’interno dell’Unione a 27 Stati. E il confronto è ancora più schiacciante se si considerano Paesi come gli Stati Uniti dove sono gli Over the top, vale a dire i fornitori di contenuti alla Google maniera che stanno cablando le prime città fino a casa dell’utente. O ancora il Giappone, la Corea del Sud, Honk Kong, Singapore e Taiwan che mostrano tassi di penetrazione della banda larga prossimi al 100 per cento. Si stanno muovendo anche Africa e Medio Oriente , che secondo stime Cisco, tra il 2012 e il 2017, saranno le regioni a maggiore crescita di traffico internet. E rappresenteranno un naturale bacino d’affari per le nostre aziende.

Interoute però la sua rete sulla dorsale l’ha costruita con i soldi di soci privati…
Si è vero, ma con 15 anni di anticipo e in un contesto di mercato diverso da quello attuale. I soci di Interoute Communications Ltd hanno investito circa 2,5 miliardi costruendo la più estesa dorsale in fibra ottica d’Europa europea con oltre 60mila chilometri di fibra coprendo 400 milioni di utenti. Oggi, il fatto che questa rete sia utilizzata da tutti gli operatori, europei e non, dimostra che il progetto era futuristico e consente ad Interoute di essere tecnologicamente all’avanguardia nel suo mercato di riferimento. La nostra esperienza è la dimostrazione pratica che l’orizzonte temporale, quando si parla di investimenti infrastrutturali, deve essere almeno trentennale e che gli investitori devono anche mettere in conto di dover superare tutte le problematiche legate alla disomogeneità dei regolamenti dei vari Paesi e anche all’interno di un singolo Stato.

Parlando dell’Italia, questa frammentazione regolamentare crea problemi alle grandi imprese che vogliono investire in Italia?
Serve necessariamente un coordinamento centrale che garantisca uniformità su tutto il territorio nazionale. Molti comuni, ad esempio, si sono fatti ricostruire strade e piazze anche al di fuori delle aree oggetto di nostro intervento, con aggravio dei costi per l’operatore che realizzava l’opera. Questo atteggiamento tipico italico ha fatto si che, nonostante l’entità italiana di Interoute sia da sempre la più efficiente e produttiva all’interno del gruppo, la holding inglese ha preferito dare priorità ad investimenti in altri Stati come i Paesi scandinavi, Germania, Francia e Spagna, nei quali la certezza delle regole li fa sentire più garantiti.

Sarebbe possibile per un privato posare la fibra anche fuori dalla dorsale, nelle reti metropolitane e nell’ultimo miglio?
Non credo interessi a nessuno degli operatori che hanno lo stesso focus di Interoute. L’esperienza di questi 15 anni dimostra che le reti di accesso si sono realizzate nelle aree economicamente interessanti (quando realizzate da privati) o più o meno ovunque sul territorio, quando realizzate da soggetti pubblici “illuminati”, che poi le hanno rese disponibili ai privati addetti ai lavori.

Quali rischi corre il Paese e il suo tessuto produttivo senza un rapido intervento per lo sviluppo della rete?
Stiamo assistendo ad una quotidiana perdita di competitività delle nostre aziende a causa dei costi troppo elevati che devono sostenere tra tassazione, costo del lavoro, costo dell’energia e anche dei servizi di telecomunicazione. Le aziende italiane sono frenate a più livelli invece che sostenute e agevolate, nonostante sia ormai ampiamente provato come la penetrazione della banda larga abbia effetti positivi sul Pil e sulla crescita economica in generale. La realizzazione di una rete di nuova generazione richiede anni, molti (troppi) li abbiamo già persi dietro al balletto “scorporo si – scorporo no”, è giunto il momento di fare qualcosa di estremamente coraggioso e innovativo anche nella sua concezione di assetto societario. Enrico Mattei infranse 8.000 regolamenti per realizzare notte tempo il metanodotto di Cortemaggiore che convinse De Gasperi a non liquidare l’Agip ma a dare impulso alla creazione dell’Eni. Era un visionario e la storia gli ha dato ragione. Spero che questa classe politica sia capace di seguire le sue orme.

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