È vero che se corri dietro al tram risparmi un euro e mezzo, ma se corri dietro a un taxi riesci a risparmiare molto di più. Che questa scemenza sia applicabile all’economia, e quindi alla vita delle persone, non fa ridere per niente. Eppure è quello che ci sentiremmo di suggerire alla Electrolux, la multinazionale degli elettrodomestici che ha proposto ai suoi lavoratori un accordo che suona più o meno così: noi vi molliamo qui e andiamo a fare le nostre lavatrici in Polonia, a meno che voi non accettiate di prendere salari polacchi. In pratica si tratta di una riduzione di stipendio di quasi il 50 per cento: quello che prima facevi per 1. 400 euro, domani potresti farlo per 700. Se no a casa.

Prendere o lasciare che si direbbe, dall’economia, alla politica, alle riforme, pare la moda del momento. Vedete anche voi che la formuletta del tram e del taxi è una metafora perfetta: perché diavolo inseguire stipendi polacchi quando si potrebbero rincorrere addirittura quelli cinesi? E perché limitarsi agli stipendi cinesi quando si potrebbero pagare stipendi cambogiani? Il fatto è che c’è sempre qualcuno che è il polacco di qualcun altro (o il cinese, o il cambogiano…) e quindi non si finisce più: la corsa al ribasso è una specie di toboga insaponato dove si prende velocità e non si riesce a frenare.

Ma certo, certo, non c’è dubbio che la faccenda non sia così semplice. Non c’è dubbio che sul costo del lavoro alla Electolux (come ovunque in Italia) pesino anche altri fattori. Le tasse sul lavoro, i costi, il famoso cuneo fiscale eccetera eccetera. Bene. Ridurre, tagliare lì e non dalle tasche dei lavoratori, tutto giusto, tutto bello e assai riformista. Però. Però non c’è niente da fare: se costruire una lavatrice in Italia costa 24 euro all’ora e in Polonia costa 8, non bastano né i tagli al costo del lavoro, né i tagli al cuneo fiscale, né riti propiziatori, né mani benedette, né ometti della provvidenza. Restano i sacrifici umani, quelli sì: sui lavoratori.

E in più, della proposta Electrolux non si calcola un piccolo dettaglio. Che i lavoratori prenderebbero stipendi polacchi, ma non abiterebbero in Polonia. Continuerebbero a pagare affitti o mutui italiani, a comprare cibo nei supermercati italiani e a far benzina in Italia, ché Varsavia gli viene un po’ scomoda. Dunque, non per tirare in ballo il vecchio maestro Keynes (ma anche il signor Ford, che fece il botto vendendo le Ford agli operai della Ford), se ne deduce che oggi, con il suo stipendio, un lavoratore dell’Elecrolux potrebbe forse permettersi di comprare una lavatrice Electrolux, ma domani, con il suo stipendio polacco, non potrà più.

Meno soldi in tasca a chi lavora, quindi meno consumi interni, quindi nuovi lavoratori in esubero, quindi nuove riduzioni di salario. È la famosa manina magica del mercato che sistema tutto, a favore del mercato, naturalmente. Ecco: per portarsi avanti col lavoro, meglio forse cominciare a studiare la piantina di Pechino o cercare un bilocale a Phnom Penh. Certo, urge un taglio delle tasse sul lavoro, non c’è dubbio, e dei costi dell’energia, non c’è dubbio, e una politica industriale, non c’è dubbio. Nel frattempo, sarebbe bello non diventare troppo polacchi, troppo cinesi o troppo cambogiani, continuando a fare la spesa qui. Potendo ancora sognare in italiano e non in polacco, sarebbe bello avere uno Stato che offra buone condizioni a chi viene a investire e a produrre, ovvio, giusto, ma anche che chieda garanzie e imponga qualche obbligo.

@AlRobecchi

Il FattoQuotidiano, 29 gennaio 2014
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