Con la pubblicazione del cofanetto contenente i lavori sacri di Bach, Handel e Beethoven si è conclusa la pubblicazione della nuova Otto Klemperer Legacy. Dodici box a basso prezzo che raccolgono l’integrale delle incisioni Columbia-Emi effettuate dal 1954 al 1971 dal “grande vecchio”, per la quasi totalità con la Philarmonia Orchestra (poi New Philarmonia, dal 1964). Quando Klemperer siglò il contratto con la Columbia, aveva 69 anni, era una specie di relitto di un’epoca passata, era malconcio fisicamente e tuttavia era tornato a lavorare in Europa, prima in Ungheria, poi, rotto il filo della collaborazione Oltrecortina, riprese a dirigere soprattutto orchestre di secondo piano, ottenendo però risultati sorprendenti.

A quel punto Walter Legge, onnipotente presidente della Columbia gli propose un contratto con la Philarmonia, l’orchestra che aveva creato per registrare dischi, quella che sarebbe diventata la “sua” orchestra. Iniziò così, per quell’uomo in fuga, una stagione entusiasmante ricca di successi. Aveva peregrinato per continenti diversi, dopo una folgorante carriera negli anni ’20 e ’30 del Novecento alla Kroll Oper, era stato l’allievo di Mahler, il progressista che aveva rivoluzionato la Berlino musicale della Repubblica di Weimar, aveva vissuto gli Usa come un esilio, era un gigante che non tollerava intromissioni nel proprio lavoro.

Ora per quel vecchio male in arnese arrivava una tardiva estate. Da apostolo della nuova musica divenne il più intransigente rappresentante della tradizione musicale austro-tedesca. Iniziò a rimeditare, eseguendolo e incidendolo, tutto il grande repertorio sette-ottocentesco. Con il suo passo, ovviamente, alla luce delle sue convinzioni granitiche: tempi dilatati per rendere percepibile ogni sfumatura della verticalità della partitura, fraseggio non lambiccato, poca attenzione al fascino dei dettagli timbrici, acuta sensibilità per una precisione non fine a se stessa, equilibrio tra le varie sezioni orchestrali con una lieve accentuazione per i fiati.

In realtà per chi abbia familiarità con le esecuzioni live degli anni ’50 sa che Klemperer non è sempre stato un direttore “lento”, sapeva staccare tempi brucianti, ma soprattutto in sala d’incisione prediligeva quelli distesi, che sono andati rallentando con l’avanzare dell’età. Una sublime semplicità, sembrerebbe. Eppure non è del tutto vero. Klemperer si definiva antiromantico, il suo approccio voleva essere oggettivo, non sentimentale. Eppure in questa sua oltranza c’era del romanticismo, dell’idealismo, come si potesse essere realmente oggettivi.

Questa era la forma mitizzante del suo approccio alla musica. In verità si può sempre ascoltare una vena dolorosa nel suo modo di fare musica. In quegli anni molte furono le perle che il gigante (era alto due metri) tirò fuori con inaspettata baldanza dal suo scrigno: il ciclo beethoveniano innanzi tutto. Tutto il contrario di quello epico e wagneriano di Furtwängler. Lento, spazioso, assai poco magniloquente, tutto incentrato sulla miracolosa articolazione della forma. Con movimenti lenti non dilatati (eloquente il III movimento della sua Nona) anzi piuttosto accelerati, per non scadere nel sentimentale. Il suo Brahms, le sinfonie e, sublimemente, il Requiem Tedesco, punti fermi nella discografia.

Come allievo di Mahler ci saremmo aspettati un’integrale delle sinfonie. Nient’affatto: solo la Seconda, la Quarta, la Settima (allentatissima nei tempi, meditata a lungo e non del tutto riuscita) e una Nona asciuttissima senza sbavature né ripiegamenti, un po’ brutale. Ma un Lied von der Erde che non teme confronti con nessun altro: la Ludwig e Wunderlich nelle parti solistiche, un ritratto d’autore in sei parti. Memorabile. Bruckner è stato uno degli autori favoriti del Maestro che infatti (soprattutto tolto il veto di Legge) negli ultimi anni di attività ci ha regalato una quasi integrale, sebbene con una Ottava mutilata nel finale.

Il Mozart di Klemperer è decisamente idiomatico, molto lontana dalla nostra sensibilità attuale, una lettura potentemente retrò, ma piena di fascino, perché fatta con grande gusto. Lo stesso si può dire del suo Bach, lontanissimo da una visione storicamente attendibile e filologicamente corretta, ma atemporalmente sublime, soprattutto Messa in si minore e Passione secondo Matteo. Ma molti altri sono i diamanti nascosti in quei cd, per fortuna tornati in catalogo, mirabilmente rimasterizzati e con una veste grafica accattivante.

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