La notizia girata ieri su tutti i maggiori organi d’informazione italiani è di quelle che lasciano attoniti. Electrolux, un grande marchio internazionale degli elettrodomestici, operato e controllato finanziariamente dagli svedesi, chiede alle unità operanti in Italia di dimezzare il costo del lavoro, oppure sposterà quelle unità altrove? (probabilmente in Polonia). Sembra la classica manovra ricattatoria usata dai “padroni” vecchio stampo per sfruttare i lavoratori e pagarli una miseria. Ma il vecchio “padrone delle ferriere” e’ diventato ormai solo un ricordo letterario, la Electrolux è una impresa presente con stabilimenti in tutti i continenti, agisce su parametri basati sulla qualità dei prodotti e sulla competitività dei prezzi, la sua organizzazione produttiva e commerciale è tra le piu’ moderne al mondo, inoltre fa riferimento ad una nazione con una legislazione evoluta e socialmente rispettosa delle persone.

Normalmente, una spiegazione ovvia a questa “minaccia” sarebbe riscontrabile in una situazione economica aziendale, locale o generale, veramente precaria, con un costo del lavoro diventato insostenibile. Ma non è così. Una mia breve analisi (che andrebbe però approfondita con maggiori dati e dettagli) rileva non sulla produttività (cioè sul costo del lavoro) il problema principale dell’azienda in Italia, ma sulla sua incapacità di vendere i suoi prodotti nel nostro paese.

Dalla rapida occhiata alla sintesi economico-finanziaria dell’azienda sui dati del 2012 (quelli del 2013 saranno disponibili solo a febbraio) parlano di una azienda sana nel suo complesso, con un margine operativo del 4,7% (in crescita di circa un punto percentuale sul 2011) e di un R.O.E. (return on net assets per la precisione) del 18,8%.

Con questi parametri non si può certo parlare di una azienda in crisi!

C’è però un dato che, da solo, potrebbe spiegare il motivo della decisione presa dall’azienda, quello del fatturato per dipendente.

In Italia la Electrolux, con 5.715 dipendenti, ha venduto nel 2012 per 3.407/mln. di corone svedesi (il cambio oggi della corona svedese è di 8,79 corone per un euro).  La Francia, con 1.055 dipendenti, ha venduto per 3.631/mln., la Germania con 1.725 dipendenti ha venduto per 5.434/mln di corone.  Il rapporto per l’Italia è di 0,5961, per la Francia di 3,4417, per la Germania di 3,1501. Fuori dall’Europa è interessante vedere gli Stati Uniti che producono per 29.632/mln di corone con 7.933 dipendenti (ratios di 3,7352) e del Brasile che produce per 15.887/mln. con 11.123 dipendenti (ratios di 1,4283).

Insomma, gli italiani sono proprio ultimi nel rapporto lavoratori/prodotto venduto. Però questo dato non è comparabile con la produttività. In questo caso il cattivo risultato di questo indicatore potrebbe essere interamente riconducibile alla crisi che nel 2013 ha sconvolto l’Italia (dove sono calati persino i consumi dei prodotti alimentari). Bisognerebbe anche, per avere un riferimento corretto, conoscere almeno se le produzioni svolte in Italia sono identiche (grossomodo) a quelle svolte negli altri paesi. Si presume che lo siano, altrimenti avrebbe poco senso inserire tra i dati disaggregati del bilancio consolidato questa rappresentazione.

In ogni caso, quantunque la produzione in Italia della Electrolux non sia più economicamente conveniente, il problema non sarebbe imputabile al costo del lavoro. Anche dimezzando quel costo, non ci sarebbe alcuna garanzia che le vendite otterrebbero una impennata, a meno che venissero dimezzati anche i prezzi al pubblico dei prodotti aziendali (cosa che in un mercato aperto, europeo e globale, è praticamente impossibile). C’è da chiedersi quindi qual’è il vero obbiettivo di una richiesta così dirompente e aggressiva contro i lavoratori italiani.

Sarebbe irrealistica l’ipotesi che l’Italia, ora alle prese con una grave crisi politica oltre che economica, sarebbe diventata l’anello debole attraverso il quale tentare di scardinare definitivamente le residue resistenze della classe lavoratrice italiana?  

 

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