Un giretto di fantasia per le vie di Milano (o di Roma)

monopoli1Avanzare lungo il perimetro del Monopoli, per chi vive a Milano, può voler dire immaginare di farsi un giro in auto per il capoluogo lombardo: la versione italiana del gioco ha perlopiù attinto i nomi delle caselle del tabellone alla toponomastica meneghina degli anni Trenta del Novecento, in buona parte la stessa di oggi. Un tour virtuale è tentazione ancor più forte per chi sta a Roma, purché possegga la rara edizione speciale del Monopoli (1978) tarata sulla capitale. Qui il viaggetto mentale può passare per Vicolo del Moro o Viale Trastevere, per Corso Rinascimento o  Piazza Navona, per Via Veneto o per il Parco del Pincio.         

Ma il fascino del tour di fantasia, a dispetto delle origini anticapitalistiche del Monopoli, cede ben presto in chiunque alla seduzione dell’accumulo di capitale. Lo scopo del gioco è riuscire a piantare un bell’albergo a Viale dei Giardini o a Parco della Vittoria, le due caselle viola in fondo al quadrato di gioco, e tracciare così una netta linea divisoria fra i tuoi immobili di pregio e l’edilizia popolare o plebea (fucsia o celeste) dei vicoli, dei viali, dei bastioni di partenza. 

Americani creativi, italiani autarchici

monopoli2La prima edizione italiana del Monopoli cade nel Ventennio (1936) e il regime ne approfitta, intitolandone le caselle a Largo Littorio o a Largo Savoia, a Corso Umberto o ai Giardini Margherita, a Via Vittorio Emanuele o a Via del Fascio. Sono gli anni d’oro per molti plays, games e board games; a cavallo fra le due guerre mondiali escono, nei soli Stati Uniti, «più di seicento opere sul gioco: dal bridge al monopoli, dalle parole crociate al minigolf» (Yves Reuter, Il romanzo poliziesco, prefazione di Andrea Camilleri, Roma 1998 [1997], p. 98). Sono anche gli anni in cui impazzano i gialli di Agatha Christie, Dorothy Sayers, John Dickson Carr e altri grandi autori del genere poliziesco; nei loro romanzi si assiste quasi sempre a una «partita di scacchi, di carte, di tennis o di golf» (ibid.).

Nel 1935 la Parker Brothers, dopo averne acquistati i diritti da un ingegnere di origine tedesca, Charles B. Darrow, pubblica la prima edizione del Monopoly (lett. ‘monopolio’). Darrow non ne fu però l’inventore. Una versione anteriore del gioco era stata brevettata come The Landlord’s Game, all’inizio del secolo (registrazione del 23 marzo 1903, pubblicazione del 5 gennaio 1904), da un’americana dell’Illinois, Elizabeth J. Magie, fiera avversaria degli speculatori terrieri.  

L’ascesa del Monopoli, che da noi, con il passaggio del marchio dall’Editrice Giochi alla multinazionale americana Hasbro, è diventato (2009) Monopoly, sarebbe stata inarrestabile. Nel 1999 una giuria internazionale l’ha proclamato gioco del secolo

Invenzioni d’autore

Una variante truccata del Monopoli, il gioco del ratto, era il passatempo prediletto da Philip K. Dick, che ne è stato anche l’inventore. Lo scrittore californiano, maestro del continuo ribaltamento del reale, ci giocava con le tre  figlie della sua terza moglie ma un po’ anche con i lettori, per metterne alla prova l’intelligenza; a tenere le redini del gioco un capriccioso banchiere, che può cambiare le regole a suo piacimento.

A mezzo fra il monopoli e il poker è un altro gioco inventato da Dick, calato stavolta nella trama di un romanzo. In The Game-Players of Titan (1963), ambientato in un futuro di sopravvissuti a una guerra batteriologica, si gioca al bluff, portato sulla Terra da una specie aliena proveniente da Titano. Si fa con le carte, mentre uno spinning device (una sorta di roulette) fa progredire le pedine. Chi vince può aggiudicarsi immobili e terreni di enormi dimensioni, addirittura intere città; in palio anche le poche donne del pianeta ancora fertili.

Il protagonista del distopico romanzo di Dick si chiama Peter Garden. Il suo cognome ricorda i Marvin Gardens della classica versione americana del Monopoli, che riproduce vie, piazze, ferrovie di Atlantic City e aree limitrofe. I Marvin Gardens corrispondono alla nostra Piazza Giulio Cesare, ma contengono un errore. In origine quel Marvin era Marven. Una signora (Ruth Hoskins) di Indianapolis, trasferitasi nella celebre città del New Jersey, rinomata per i suoi casinò, l’aveva trascritto male. Jeff Raiford e Charles Todd, che avevano ricopiato a mano una versione del Monopoly posseduta dalla donna, non se ne accorsero. Il particolare sfuggì anche a una coppia di loro amici, i coniugi Darrow. I due erano andati a trovarli una sera, portando con sé il nuovo gioco.   

di Massimo Arcangeli e Sandro Mariani

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