La polemica sulla vendita delle quote di minoranza di Poste Italiane ed Enav è molto alta. Ma non si tratta della prima tornata di dismissioni pubbliche in arrivo. Procedono infatti molto più velocemente quelle che riguardano la Cassa Depositi e Prestiti, Cdp Reti in testa, oltre a Fincantieri e Sace. Per la scatola che attualmente contiene solo il 30% di Snam, il gruppo delle infrastrutture del gas, la Cassa di Franco Bassaninini ha disposto l’invio di offerte non vincolanti entro venerdì 31 gennaio. I prossimi giorni saranno dunque decisivi per una prima presa d’atto dell’interesse che le aziende italiane sono in grado di suscitare tra gli investitori. A occuparsi della cessione di una quota non di controllo di Cdp Reti è il consulente Lazard, a cui sono destinate le manifestazioni d’interesse. Secondo le ultime indiscrezioni, ai potenziali investitori è stato chiesto di presentare proposte con o senza la quota del 29,9% di Terna, il gestore della rete elettrica di cui al momento non è stato ancora completato il trasferimento in Cdp Reti.

Per l’apertura del capitale del veicolo di Cdp c’è “un interesse larghissimo”, aveva affermato alla fine di novembre Bassanini. E in effetti, stando alle indiscrezioni, le buste non mancheranno. Si va dai fondi sovrani di Abu Dhabi, Qatar e Kuwait a soggetti australiani o canadesi, fino al colosso cinese State Grid of China. Proprio l’interesse da parte di quest’ultimo soggetto, tuttavia, desterebbe una certa preoccupazione sia nei mercati che nel governo: si tratta infatti di un diretto concorrente di Snam e Terna, per di più gonfio di liquidità, che potrebbe quindi anche crescere facilmente nel capitale di società che detengono interessi vitali e strategici per il Paese, quali sono la rete del gas e quella elettrica.

E il portafoglio delle partecipazioni della società che gestisce i risparmi postali degli italiani, stando a quanto annunciato dal premier Enrico Letta, non verrà “alleggerito” solo di una quota di Cdp Reti. Il programma prevede infatti anche la cessione di partecipazioni in Fincantieri e in Sace. Per la prima è ormai assodato che la strada prescelta è quella della Borsa, con una quotazione che, mercati permettendo, potrebbe avvenire anche entro l’estate. Forse già la prossima settimana potrebbero essere scelti le banche per l’operazione. Le cessioni di quote in mano a Cdp, evidentemente, avvengono secondo modalità molto più snelle di quelle previste per operazioni come quelle relative a Poste ed Enav, direttamente controllate dallo stesso azionista della Cassa, il Tesoro, ma che coinvolgono il governo e il Parlamento. Dopo il varo dei due schemi di Dpcm da parte del Consiglio dei ministri, infatti, l’iter prevede ora il passaggio parlamentare, con i pareri, obbligatori ma non vincolanti, da parte delle Commissioni competenti. In seguito i decreti torneranno a Palazzo Chigi per l’approvazione. Tutti i dossier, in ogni caso, fanno capo al Comitato privatizzazioni attivo al ministero dell’Economia, che potrebbe tornare a riunirsi proprio la prossima settimana.

E proprio sul tema Poste ed Enav sono tornate ad infuocarsi le polemiche. “Una volta c’era il movimento di lotta e di governo, ora le cose sono così cambiate grazie all’influenza dei mercati finanziari su questo esecutivo che Saccomanni, dopo le dichiarazioni sulla privatizzazione di Poste si può ben definire uomo di Borsa e di governo”, hanno per esempio commentato in una nota congiunta, i senatori del Movimento 5 Stelle, Lorenzo Battista e Luis Alberto Orellana riguardo la cessione del 40 per cento di Poste Italiane. “Bastano due semplici operazioni di calcolo da scuola media: Saccomanni dice che la vendita del 40% di Poste Italiane porterebbe il debito pubblico da 2.068 a 2.064 miliardi. Forse non informano Saccomanni che il debito pubblico è al livello record di 2.104 miliardi? – scrivono – E allora, oltre al 40% degli utili, quale asset finanziario intende cedere a banche con la bava alla bocca? Perchè il governo invece non si concentra a migliorare il sistema postale e contenere l’indiscriminato aumento di bolli e servizi che ricadono sempre sulle spalle dei cittadini? Inoltre, con la vendita del 40 per cento si elimina una entrata annuale stabile di almeno 400 milioni l’anno ”.

“Per non parlare dello smantellamento della funzione sociale di Poste Italiane, separare Banco Posta dal servizio recapito: il primo diventa una vera e propria banca il secondo va sul mercato. Senza contare – continua la nota – il fatto che, con questa operazione, anche tutta la funzione di raccolta del risparmio dei cittadini, oggi svolta dagli oltre 13.000 uffici postali, che convogliano il denaro raccolto da Cassa Depositi e Prestiti, verrebbe messa a rischio o profondamente trasformata. E così per abbattere di 4, dicasi 4 miliardi il debito pubblico su 2104, tutto questo ambaradan per accontentare qualche grande speculatore”.

Proteste anche da destra. “Scanso subito ogni possibile equivoco di marca statalista: chi scrive è un liberale strafavorevole al concetto di privatizzazione – scrive per esempio Daniele Capezzone sul Giornale in edicola domenica 26 gennaio – Per quel che vale, nei mesi scorsi, ho contribuito anch’io, insieme a Renato Brunetta e ad altri amici, alla elaborazione della proposta di attacco al debito pubblico presentata dal mio partito. Questa proposta prevedeva la valorizzazione e la messa sul mercato di quote di patrimonio pubblico, non solo immobiliare, per abbattere il fardello del nostro debito, uscire dalla minaccia (o dall’alibi) dello spread, e fornire un margine per l’avvio delle necessarie riduzioni fiscali. Ma la premessa della nostra proposta, appunto, era la valorizzazione di quote di patrimonio pubblico, attraverso un fondo, e l’uso di meccanismi che potessero incoraggiare anche i piccoli risparmiatori, e non solo i grandi investitori”.  Diversamente, secondo l’ex radicale, “altro conto sarebbero sciagurate spoliazioni, simili a quelle purtroppo avvenute nel periodo ’92-’93”.

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