Avevo appena chiuso il mio post con le parole ‘auspichiamo che dal Campidoglio Ignazio Marino annunci fumata bianca!‘, quando, tra le pieghe di un’esigua informazione al riguardo, riuscivo a scovare la notizia temuta: all’indomani dell’anatema del Vaticano, i capigruppo del consiglio comunale decidevano di rinviare la discussione in aula a “data da destinarsi” per dare spazio ad altre “priorità”. Fumata bianca, almeno a breve termine, non ci sarà. E mentre a Torino il consiglio comunale ha votato una delibera che permette alle coppie di fatto di avere diritto ad una casa popolare, di prendersi cura del funerale del proprio compagno o compagna e pure accoglierne le spoglie nella tomba di famiglia, avere un registro per le unioni civili a Roma è diventata una faccenda non dell’amministrazione comunale della città, ma, di fatto, una questione di esclusiva facoltà del Vicariato romano. Roma, come enclave della Città del Vaticano. 

Imma Battaglia (Sel) prima firmataria della proposta romana di delibera e presidente onorario dell’associazione Gay Project, in una nota Ansa ha dichiarato: “Stigmatizziamo la mancata calendarizzazione della delibera sulle Unioni civili e ci auguriamo che la maggioranza, una volta approvate le urgenze, abbia il coraggio di affrontare il tema.” Intanto, alle proteste di Sel e M5S il capogruppo del Pd Francesco D’Ausilio replica che si tratta di “inutili isterismi alla ricerca di una piccola visibilità”, il Pdl annuncia una raccolta di firme per dire “no alle unioni civili”, mentre Riccardo Magi, radicale, dice che il rinvio era in aria da giorni perché “nel Pd c’è chi non vuole le unioni civili e ascolta molto la voce del vicariato”. Un nome? Mirko Moratti per esempio, presidente del consiglio comunale e già nella giunta Veltroni che nel 2007 vietò il registro sulle unioni civili, stranamente subito dopo un incontro con il cardinal Bertone.

Lo scorso novembre 2013, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato la Grecia per violazione degli articoli 8 e 12 della Convenzione (il diritto al rispetto della vita privata e familiare) su ricorso di una coppia omosessuale. In quel caso, la Grecia aveva escluso dalla legge sulle unioni civili le coppie dello stesso sesso, producendo così una discriminazione. Nel nostro caso, non abbiamo ancora una legge, ma l’ordinamento giuridico italiano potrebbe far valere quella sentenza e uniformarsi alla decisione della Corte europea, in quanto tali decisioni – che sono parte integrante della Convenzione europea – devono essere osservate non solo dallo Stato a cui si riferisce la sentenza ma anche dagli altri Stati membri.

Intanto, in attesa di essere tutti cittadini di serie A, con uguali diritti, ci auguriamo nell’indipendenza di Ignazio Marino sindaco di Roma, e libero dalle “logiche della vecchia politica”, anziché dalle logiche del Papa Re.

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