Se vuoi essere popolare, oggi, non occorre neanche andare in televisione oppure cinguettare con fierezza, scrivere, pensare, riflettere e semmai riscrivere e ripensare e riflettere ancora. Il dubbio è il peccato capitale dei deboli. Basta ripetere con ossessione due cosettine, elementari: niente finanziamento pubblico ai partiti; legge elettorale con le preferenze.

La politica può essere una pubblica virtù, ma può diventare un vizio privato. A proposito di privati, il Fatto Quotidiano in edicola riporta l’elenco di quei 61 milioni di euro che amici o sodali, aziende o coop hanno distribuito ai politici nel 2013. E scopri un senatore democratico o un deputato berlusconiano che incassano più di 50.000 o 200.000 euro e ti chiedi: perché quella precisa società farmaceutica ha deciso di finanziare quel preciso parlamentare? E i sospetti, seppur infondati, sono naturali, umani. Quando i soldi pubblici saranno terminati, entro il 2017 pare, i partiti tradizionali dovranno ricorrere al soccorso privato.

E’ un pericolo eccessivo per l’indipendenza di un parlamentare della Repubblica, che non ha vincoli di mandato con nessuno, tranne che con la propria coscienza e con la Costituzione. Ammessa al tavolo dei contribuiti pubblici, la politica, semplicemente, ha ruttato. E i cittadini ne ricordano il rumore, ne sono terrorizzati. E assorbono, senza ragionare, l’anatema (ormai unanime) di chi vuole abolire il sostegno pubblico ai partiti. Quando sarebbe semplice, e non uno spreco perché parliamo di democrazia, signori miei, introdurre un sistema di rimborso limitato: il partito spende per la campagna elettorale, chiede la restituzione allo Stato e dunque certifica e motiva quei costi che ha sopportato. Non pranzi e viaggi, ma l’essenziale.

Più che il finanziamento pubblico, io eliminerei quello privato. Ma dirlo oggi, dirlo adesso, ti fa internare. Vent’anni fa o poco più, le preferenze erano il male assoluto. Le preferenze misuravano il clientelismo al Sud e al Nord e ci hanno fatto conoscere, ammonisce anche Massimo Gramellini, personaggi come Elio Vito (mister 100.000 voti) o Franco Fiorito o, per altri motivi, Ciriaco De Mita e Clemente Mastella. In questi giorni, fra improvvisati costituzionalisti e prestigiatori di legge elettorale, in tanti gridano: senza preferenze, ci sono i nominati in lista.

Premessa: in lista ci finisci se un partito (o un movimento) ti inserisce. Non merito dello spirito santo. E per evitare i casi Nicole Minetti va fatta un’operazione molto semplice: le primarie di partito. Gli iscritti scelgono fra i meritevoli di candidatura e il risultato ne stabilisce la posizione nel listino bloccato. Ovvio che se Silvio Berlusconi vuole nominare il cagnolino Dudù capolista di Forza Italia in Lombardia e i suoi elettori lo votano ancora, il problema non è di chi fa la legge ma di chi maltratta il suffragio universale. Se siete d’accordo, non lo dite. Non va di moda, ora, forse tra un po’ tornerà.

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