Inaugurare il nuovo anno leggendo un legal thriller è, per gli appassionati del genere, sempre un piacere. Se, poi, il romanzo è a firma di un’autrice italiana esordiente, Eleonora Carta, è ambientato in una città affascinante, misteriosa e umida come Torino e vede affrontarsi, attorno a un caso di omicidio, un vice-procuratore un po’ confuso, arrivista e burbero e la sua compagna, giovane avvocatessa insicura ma onesta che s’improvvisa penalista, le premesse sono di buon auspicio.

Ma procediamo con ordine. Il libro s’intitola La consistenza dell’acqua, edito da Newton Compton nel 2014 nella collana GialloItalia. I due protagonisti principali, anche “anticipati” in copertina, sono Giovanni Rizzo, il magistrato dell’accusa, e Cesare Sermonti, un Commissario di Polizia che frequenta la Procura e opera, più o meno di buon grado, sotto le direttive di Rizzo.

Nel corso della narrazione, però, esce fuori il personaggio secondo me più intrigante, Anna Ferrari, avvocato un po’ dubbioso di natura che si trova a dover fronteggiare la sua prima esperienza giudiziaria in un caso delicato. La storia, per tutto il libro, è tanto lineare quanto efficace: una giovane laureanda viene ritrovata morta in una cella frigorifera del Museo di Scienze Naturali di Torino con strani simboli (apparentemente religiosi) incisi sul petto.

Niente di nuovo, si dirà, fin qui. E invece il libro prende vita poco dopo, soprattutto grazie a due espedienti letterari che si rivelano, in questo contesto, molto efficaci: una caratterizzazione dei lati oscuri, più che dei pregi, dei numerosi personaggi che, pagina dopo pagina, si aggiungono ad intricare ancora di più la storia, e una descrizione delle vicende processuali, soprattutto sul finale, molto accurata e scenografica. Il bello di questo libro è anche il suo lato “legal” molto accentuato: visite in carcere e conversazioni con il detenuto, problemi procedurali correlati alle indagini e strategie processuali, interrogatori e controinterrogatori, perizie e consulenze più o meno informali e riti abbreviati, intercettazioni telefoniche e analisi dei tabulati, e così via. Insomma: l’appassionato di trame giuridiche non rimane deluso al termine della lettura.

Contemporaneamente, come dicevo, la linearità – e apparente semplicità – della storia (non si sono serial killer, né sette, né stragi o diffusione di virus letali, ma un “semplice” omicidio di una semplice ragazza in un contesto apparentemente neutro) si anima grazie al lato psicologico sovente complesso dei numerosi personaggi.

L’autrice ha scelto di tratteggiare unicamente persone più o meno problematiche. Hanno guai sul lavoro, o nella vita di relazione, o nascondono qualcosa, o non sono mai completamente affidabili, o si portano dietro ferite e insicurezze enormi. Hanno quasi tutte un brutto carattere, sono permalose e vendicative o, al contrario, se buone, appaiono troppo riflessive e titubanti.

Questo quadro di imperfezione generale e di fragilità diffusa, in un mondo letterario spesso fatto di eroi/supereroi o di maledetti/redenti, rende la storia piacevole da leggere e da seguire, e i profili dei personaggi arrivano a interessare il lettore. Si aggiunga una buona commistione tra modernità (le analisi di computer forensics con il software Encase e la triangolazione delle celle dei telefoni cellulari, ad esempio) e scienza investigativa tradizionale (sopralluoghi, autopsie e istinto del detective), senza mai eccedere nel buonismo, cosa che ho apprezzato molto, e il quadro è completo.

Ultimo ma non ultimo: come in ogni buon legal, la vicenda ha il suo epilogo, e i misteri si riveleranno, in udienza davanti al giudice…

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