Il suo nome compare nella storia della musica, del cinema e della letteratura, tanto da aver spinto qualcuno ad associarla quasi automaticamente al genio e alla creatività. E sono talmente numerosi e bizzarri gli aneddoti che si raccontano, che si fa fatica a distinguere la linea che separa la verità dalla leggenda. In realtà il disturbo è molto più esteso, il 2% di uomini e donne ne è colpito. Stiamo parlando della paura di ammalarsi, che alcuni medici traducono in nosofobia, mentre altri riconducono alla sfera più ampia dell’ipocondria, ossia la convinzione esagerata e a tratti ossessiva di patire malattie.

Tradotto significa che una banale tosse può essere interpretata come l’inizio di una fatale polmonite. Nel 1600 Molière ci costruì una commedia senza tempo, il “Malato immaginario”, opera che ruota attorno ad Argante, perfetto prototipo dell’ipocondriaco: “È andata che in questo mese ho preso uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto medicine e uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici e dodici lavativi”. Più avanti nella storia incontriamo Charles Darwin, Marcel Proust, Andy Wahrol, tutti ossessionati dalla propria salute. Si racconta che il pianista canadese Glenn Gould, morto nel 1982, detestasse il contatto con gli estranei e viaggiasse anche d’estate bardato con cappotto e guanti per proteggere se stesso e soprattutto le sue mani così preziose. Woody Allen sintetizza il concetto a modo suo: “Non è che mi senta malato di continuo, ma quando mi ammalo penso subito sia la volta buona”.

Arrivando poi fino in Italia, dove hanno ammesso la convivenza con la paura di ammalarsi due mammasantissima del cinema: Paolo Villaggio e Carlo Verdone. Quest’ultimo ha raccontato la propria ipocondria in decine di film, quasi attore di se stesso. 

emiliano.liuzzi@ gmail.com

Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 20 gennaio 2014

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