Alla sua esplosione, nell’estate del 2012, furono in molti dai vertici delle principali istituzioni finanziarie e politiche mondiali, a gridare allo scandalo. Eppure il dubbio sulla manipolazione del tasso Libor circolava già da tempo tra le alte sfere dell’economia globale. Lo avevano messo nero su bianco tre economisti, uno dei quali in forze al Fondo Monetario Internazionale, nel dicembre del 2009.

Ufficialmente, però, tutto viene a galla nel giugno di tre anni dopo, quando la seconda banca inglese, Barclays, ammette le colpe dei suoi manager e paga 453 milioni di dollari alle autorità inglesi e americane per chiudere una causa civile nella quale veniva accusata di aver manipolato il tasso Libor (London interbank offered rate), cioè il tasso di riferimento che regola i prestiti interbancari, ma anche gli interessi relativi a molti prodotti finanziari, tra cui i mutui, principalmente in valute diverse dall’euro. Ovviamente a suo vantaggio. In breve diventa una delle più grandi inchieste nel settore finanziaro. Non solo perché le anomalie si allargano anche altri tassi come l’Euribor o il Tibor di Tokyo, ma perché si tratta di metri di paragone fondamentali.

Per chi paga il mutuo, ma soprattutto per la strategicità del Libor. Che è il benchmark per circa 800mila miliardi di dollari tra derivati, prodotti strutturati e prestiti a tasso variabile. Il meccanismo di determinazione del tasso è abbastanza artigianale. Prevede che un gruppo di banche (il numero può variare da un minimo di 6 a un massimo di 18) comunichi a Reuters – che agisce in qualità di agente della British Bankers’ Association – i tassi di interesse ai quali sono disposte a prendere a prestito fondi sul mercato interbancario.

I valori devono essere determinati dall’interazione domanda-offerta, ma possono anche essere delle stime. Ritoccare anche un solo punto significa spostare da una tasca all’altra miliardi in pochi secondi. Tant’è che la bomba non si è fermata lì. In breve tempo sono finite nel mirino numerose banche. E lo scorso dicembre la Commissione Ue ha accusato di cartello sei gruppi tra cui Rbs, Credit Agricole, Hsbc, Deutsche Bank e Jp Morgan. Ha appioppato loro multe per 1,7 miliardi di euro. Le Istituzioni si sono prodigate nel condannare e censurare tali comportamenti, cadendo ovviamente dal pero.

Eppure tre economisti, due della Bce e uno del Fondo Monetario Internazionale, pubblicando lo scorso dicembre uno studio su possibili indici alternativi non manipolabili, hanno chiaramente fatto capire il contrario. Cioè, che nessuno è caduto dalle nuvole. Non solo. Nel 2009 i tre, Vincent Brousseau, Alexandre Chailloux (al Fmi già dal 2005) e Alain Durré avevano già pubblicato un paper sui tassi interbancari scrivendo esplicitamente (LEGGI IL DOCUMENTO) di voci di manipolazione e distorsione del Libor.

“Il dibattito sulle possibili distorsioni nei tassi Libor / Euribor è stato alimentato da informazioni aneddotiche – si legge nello studio – provenienti da altri segmenti del mercato, come i tassi di interesse impliciti nei prezzi FX swap, o alcune indicazioni di prezzo raccolte da alcuni broker nel mercato di New York da parte della Federal Reserve” . Già l’anno prima altri due economisti citati nello stesso testo avevano per esempio “mostrato come i tassi sul dollaro derivanti da basis swap abbiano deviato sostanzialmente dal Libor durante i momenti di stress di liquidità”. Per Brousseau, Durrè (ancora all’università di Lille) e Chailloux il dibattito diventa uno stimolo per una serie di complesse analisti mirate a valutare andamenti statistici che possano dimostrare irregolarità nei tassi.

E concludono che dopo il crac Lehman Brothers qualcosa di profondamente anomalo (“deeply unusual“, nel testo) è successo, ma che il periodo di osservazione è troppo breve e l’argomento implica troppi fenomeni variabili per dare una risposta scientifica. In realtà ci avevano visto bene e ora cercano soluzioni. Già. A quasi due anni dallo scandalo e a cinque da quelle voci di distorsione e da quegli strani aneddoti. Impossibile non chiedersi perché ci siano voluti tre anni per far diventare il dibattito un’inchiesta. E, quindi, che cosa abbia fatto il Fondo Monetario Internazionale all’epoca nelle mani di Dominique Strauss-Kahn in questo lungo lasso di tempo. Certo non spetta agli economisti fare denunce, ma le segnalazioni a chi di competenza sì. Ma soprattutto quello che premerà di più al consumatore finale è sapere quanti miliardi in meno sarebbero stati movimentati fuori dalla regole, se il gioco fosse stato fermato con tre anni di anticipo. Il rischio, però, è che le risposte siano manipolabili come il Libor.

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