Le rette degli asili nido variano molto da comune a comune. Forse perché attraverso le tariffe gli amministratori attuano politiche redistributive? Non sembra. Per una maggiore redistribuzione conta di più l’area geografica e l’avere un sindaco-donna. Nessuna differenza fra i partiti.

diAlessandro Bucciol, Laura Cavalli, Paolo Pertile, Veronica Polin e Alessandro Sommacal (lavoce.info)

Tariffe e redistribuzione al nido

Da qualche anno in Italia si parla molto di asili nido e il dibattito si è focalizzato principalmente sulla centralità della loro funzione educativa, sulla loro rilevanza nell’aiutare le madri a conciliare vita lavorativa e carico di impegni familiari, sulle difficoltà di accesso a causa del ridotto tasso di copertura e sulle caratteristiche delle politiche tariffarie pubbliche e private. Minore attenzione è stata dedicata all’approfondimento degli effetti redistributivi a livello locale delle tariffe applicate negli asili nido pubblici tra utenti del servizio.
Cosa sappiamo sulle tariffe degli asili nido? Secondo un recente studio del ministero del Lavoro – che riporta i risultati di un’indagine nazionale sul sistema tariffario applicato nell’anno educativo 2008-2009 ai nidi di infanzia pubblici e privati – l’importo medio della retta massima applicabile è pari a 394 euro nei nidi pubblici, mentre ammonta a 487 euro in quelli privati e le rette richieste presentano un’elevata differenziazione a livello territoriale. (1)
D’altra parte, differenze tra le rette medie applicate nel pubblico e nel privato, con importi in media più alti nei nidi privati, e grande eterogeneità a livello geografico delle politiche tariffarie pubbliche sono aspetti già rilevati da precedenti lavori empirici. (2) Ed è utile ricordare che nel settore privato raramente la tariffa è graduata in base alle risorse economiche della famiglia, mentre nei nidi pubblici è piuttosto diffuso il ricorso a meccanismi di abbattimento della retta determinati sulla base dell’Indicatore di situazione economica equivalente (Isee).
Da qualche anno, poi, Cittadinanza attiva propone un approfondimento sulle rette applicate dai comuni capoluoghi di provincia, considerando una famiglia con un Isee di 19.900 euro composta da una coppia con un bimbo che frequenta l’asilo nido comunale a tempo pieno per cinque giorni a settimana. Nell’anno educativo 2010-2011, la “famiglia tipo” spendeva in media, a livello nazionale, 302 euro al mese. (3) L’importo “risente” della scelta di un livello di Isee piuttosto alto. Nel 2010, infatti, il valore medio nazionale delle dichiarazioni Isee era attorno ai 10mila euro e circa il 90 per cento delle famiglie avevano un indicatore inferiore a 20mila, mentre meno del 10 per cento si collocavano nella classe 15mila-20mila euro. (4)
Un quadro complessivo delle politiche tariffarie pubbliche, non basato su famiglie tipo, è contenuto in un nostro recente lavoro, che analizza la struttura “completa” delle rette full time pubbliche applicate al primo figlio frequentante in novantanove comuni capoluogo di provincia nell’anno educativo 2010-2011. (5)
Il lavoro raccoglie le informazioni su tutte le classi Isee utilizzate nei novantanove comuni e sulle tariffe associate a ogni classe. Per risolvere il problema della mancanza di informazioni sull’effettiva distribuzione degli Isee degli utilizzatori del servizio nei singoli comuni, per il calcolo della retta media a livello comunale lo studio ha utilizzato la distribuzione nazionale degli Isee (stimata a partire da dati IT-Silc) delle famiglie con un figlio con meno di tre anni, applicandola al numero di posti disponibili in quello specifico comune.
Tenere conto dell’intera struttura delle classi Isee ha un effetto evidente sull’importo mensile medio stimato, che risulta pari a 202 euro, differenziandosi in modo significativo dai valori precedenti. (6)
Lo studio mostra inoltre un’elevata eterogeneità inter-regionale e intra-regionale delle rette, frutto dell’autonomia riconosciuta ai comuni nella determinazione della struttura delle tariffe. La figura 1 riporta il valore medio della retta nelle Regioni italiane, ottenuto ponderando l’importo medio comunale (che considera il numero di utenti per scaglione e i posti disponibili) per la popolazione con meno di tre anni residente nel comune. Pur eliminando Lazio e Valle d’Aosta che sembrano giocare il ruolo di due outliers (Roma infatti presenta tariffe molto basse e una popolazione vasta e la Valle d’Aosta una popolazione molto ridotta con un solo capoluogo di provincia), si rileva un’elevata differenza – intorno al 128 per cento – tra la tariffa media più alta del Friuli Venezia Giulia e quella più bassa della Sardegna; ii) quasi tutte le Regioni del Sud (fatta eccezione per Umbria e Basilicata) e le Isole si collocano sotto l’importo medio di 202 euro, mentre tutte le Regioni del Nord (esclusa la Liguria) sopra la media.

Figura 1 indice di redistribuzione

Tuttavia, anche all’interno della stessa Regione, le politiche tariffarie possono differire in modo sensibile. La figura 2 riporta a titolo esemplificativo la retta mensile richiesta per diversi livelli di Isee nei comuni capoluogo di provincia della Regione Marche, dove si nota la presenza di tariffe costanti (Fermo) o “quasi” costanti (Macerata) e di tariffe con andamento crescente con “salti” tra i diversi scaglioni più o meno rilevanti.

Figura 2

redistribuzione-marche 

Effetto redistribuzione

Quanto si redistribuisce con le politiche tariffarie dei nidi pubblici?
In una situazione in cui le tariffe decise a livello comunale sono così eterogenee e la retta mensile massima può arrivare a 700 euro, mentre quella minima può essere pari a zero per livelli di Isee molto bassi, risulta di particolare interesse l’analisi della misura e delle determinanti dell’impatto redistributivo – tra gli utenti del servizio – della politica tariffaria.
Nel nostro lavoro la stima dell’impatto si basa su un indice di redistribuzione calcolato per ogni comune come l’importo redistribuito in media per ogni residente di età inferiore ai tre anni. (7) Un maggior livello di redistribuzione può dunque derivare o da una maggiore progressività delle tariffe o da una più ampia offerta.
Come si evince dalla figura 3, che riporta il valore dell’indice di redistribuzione nelle diverse Regioni, è possibile identificare tre distinti gruppi: un primo gruppo di Regioni con un indice inferiore a 5; uno con indice incluso tra 6 e 7 e l’ultimo, con indice prossimo a 10, che ne include solamente due: Emilia Romagna e Trentino Alto Adige.

Figura 3

indice di redistribuzione 

Ma cosa determina il comportamento più o meno redistributivo di un comune?
Data la complessità del fenomeno, le determinanti potrebbero essere numerose; abbiamo perciò effettuato un’analisi econometrica includendo aspetti socio-demografici, economici, e politici.
Considerando in primis le variabili economiche, dalla tabella 1 si può notare come il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro – variabile che può essere collegata alla domanda del servizio – influenzi positivamente la redistribuzione. Al contrario, il rapporto tra media e mediana del reddito lordo (atto a cogliere la distribuzione centrale del reddito) e tra coloro che hanno un reddito lordo maggiore di 60mila euro e coloro che hanno un reddito lordo inferiore i 7mila euro (atto a cogliere i comportamenti agli estremi della distribuzione) non risultano significativi e ciò suggerisce che le scelte non siano motivate da un criterio di giustizia sociale: gli amministratori locali non reagirebbero a distribuzioni ex ante più disuguali con politiche più redistributive.
Per quanto concerne le variabili politiche, sono stati considerati il genere del sindaco e il partito politico di appartenenza. I comuni con donne sindaco mostrano una maggiore attitudine alla redistribuzione , mentre il partito di appartenenza non sembra avere alcuna influenza statisticamente significativa sull’indicatore.
Infine, tra le altre caratteristiche non economiche analizzate, l’area geografica cui appartiene il comune risulta essere una determinante rilevante: comuni situati nell’Italia centro-meridionale mostrano un comportamento meno redistributivo rispetto a comuni dell’Italia settentrionale.
In conclusione, l’analisi econometrica mette in evidenza la rilevanza delle “preferenze” dei sindaci e della collocazione territoriale, mentre aspetti connessi a motivazioni di giustizia sociale non sembrano determinanti per questa specifica forma di intervento pubblico.

indice di redistribuzione

(1) Si veda ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, “Monitoraggio del piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia”, 2012. Nei nidi pubblici, la tariffa media massima è pari a 485 euro per il Nord-Ovest, a 415 per il Nord-Est, 325 per il Centro e 241 euro per il Sud; nei servizi a titolarità privata l’importo ammonta a 533 euro nel Nord-Ovest, a 446 nel Nord-Est, a 440 euro nel Centro e a 291 nel Sud e Isole.
(2) Si vedano Chiuri, M.C. (2000), Quality and Demand of Child Care and Female Labour Supply in Italy, Labour 14(1), 97–118; Del Boca D., Locatelli M. and Vuri D. (2005), “Child-Care Choices by Working Mothers: The Case of Italy”, Review of Economics of the Household 3, 453-477; Del Boca D., Vuri, D. (2007), “The Mismatch between Employement and Child Care in Italy: the Impact of Rationing”, http://ideas.repec.org/s/spr/jopoec.html, 20(4), 805-832.
(3) “Asili nido comunali”, dossier a cura dell’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva, 2011.
(4) Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (2012b), Rapporto Isee 2011. Più precisamente 9.800 è il valore medio nazionale degli Isee e coincide con il valore medio nazionale degli Isee di coloro che hanno richiesto la prestazione “nido-scuola” (la mediana invece è circa 7.500 euro).
(5) Bucciol A., L. Cavalli, P. Pertile, V. Polin, A. Sommacal (2013), “Redistribution at the local level: The case of public childcare in Italy”, Working Paper Dipartimento di Scienze economiche, università degli Studi di Verona, 21, 2013. Su 117 comuni capoluoghi, per sedici non è stato possibile raccogliere informazioni rilevanti per l’analisi; inoltre due comuni (Viterbo e Parma) utilizzano un altro indicatore reddituale, il quoziente familiare, non direttamente comparabile con l’Isee.
(6) Ogni comune presenta un numero differente di scaglioni Isee e di rispettive rette associate. Per semplicità i singoli scaglioni sono stati standardizzati in 36 intervalli, in modo tale che fossero omogenei per tutti i 99 comuni. Successivamente, in corrispondenza di ogni intervallo di ogni comune è stata imputata una retta pari alla media semplice delle rette negli estremi dell’intervallo; la retta media per comune è data dalla media delle rette nei singoli comuni ponderata per la stima del numero di utenti per intervallo. La media regionale è ottenuta come media delle rette medie comunali ponderata per la popolazione con meno di tre anni residente nel comune.  Infine, la retta media nazionale è calcolata come media delle rette medie regionali pesata per la popolazione con meno di tre anni residente nella regione.
(7) La redistribuzione è calcolata rispetto a una ipotetica tariffa costante al variare dell’Isee.

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