Prima notizia: Rcs pensa di darsi alle scommesse sportive per far soldi. Seconda notizia: per raggiungere l’obiettivo, il gruppo ha pensato bene di utilizzare la Gazzetta dello Sport, primo giornale sportivo italiano, 290mila copie medie diffuse al giorno e 108 anni di onorata storia. Vendere immobili e tagliare a piene mani, quindi, non basta a far uscire il gruppo editoriale dal pantano del debito creato con la sciagurata acquisizione della spagnola Recoletos. E per rimediare al buco in bilancio, la squadra dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane ha pensato a una nuova strategia di business, quella del gioco appunto.

L’idea del manager caro alla Fiat che dalla scorsa estate è il primo azionista dell’editrice della rosea e del Corriere della Sera, è quella di creare una società ad hoc – uno dei nomi sul tavolo è Gazza Bet – per acquisire un’apposita licenza dallo Stato e poi darla in gestione a un operatore di provata esperienza nel settore. Pura manovra economica. In tal senso, il candidato ideale è la Whg Ltd di stanza a Gibilterra, che opera già attraverso marchi internazionali come William Hill. E che sarebbe certamente allettato all’idea di sfruttare tutte le potenzialità di un legame con la Gazzetta tanto da essere pronto a pagare un’adeguata rendita a Rcs. Che quindi avrebbe acciuffato due piccioni con una fava: guadagnare senza particolari spese. Almeno a livello economico. Perché al contrario, sul piano della credibilità, sacrificare l’autonomia della Gazza sull’altare delle scommesse sportive rischia di creare un effetto domino non di poco conto sull’appeal che il giornale può vantare nei confronti dei suoi lettori.

I primi a capirlo sono stati i cronisti del quotidiano di via Solferino. Inversamente proporzionale a quello della proprietà, del resto, l’entusiasmo della redazione, che ha colto immediatamente il potenziale dannoso del progetto, in tema innanzitutto di affidabilità della cronaca degli eventi sportivi oggetto delle stesse scommesse, con un effetto boomerang sulle vendite facilmente ipotizzabile. “L’editore ha manifestato l’intenzione di dare il via a una nuova partnership nel settore delle scommesse sportive, associandole direttamente al marchio Gazzetta – si legge in una nota sindacale pubblicata sul quotidiano in edicola sabato 11 gennaio – Un’operazione che solleva molti interrogativi sul piano etico, giuridico e deontologico, rischiando di compromettere seriamente la storia e il prestigio di questo giornale e la credibilità e l’autorevolezza dei suoi giornalisti”. Un attacco frontale, quindi, che anticipa il braccio di ferro tra Rcs e firme della rosea a pochi giorni dalle Olimpiadi invernali di Sochi e a quattro mesi dai Mondiali di calcio in Brasile. Due eventi in concomitanza dei quali i quotidiani sportivi fanno la voce grossa in edicola. 

Ciò che preoccupa i redattori, inoltre, non è solo il contenuto del progetto, ma anche il fatto di non aver ancora avuto alcun dettaglio aggiuntivo sull’operazione che Rcs vorrebbe concludere prima di giugno, mese della competizione iridata in Sudamerica. Tanto che, riferisce ancora la nota, “secondo fonti attendibili sarebbe già in fase di definizione” e che “ci è stata presentata come unica alternativa ad ulteriori, dolorosi tagli di costi“, che seguirebbero l’accordo appena firmato al ministero per l’uscita di 19 giornalisti nei prossimi due anni e l’avvio della cassa integrazione a rotazione per chi è rimasto. Insieme al piano betting, inoltre, la proprietà ha anche annunciato la chiusura del dorso campano della rosea. Sul cui marchio, va detto, si addensano nuovi interrogativi circa la promiscuità di business e informazione.

In tale contesto, inoltre, c’è un’altra spada di Damocle che continua a pendere sulla testa della Gazza. Non è stato ancora chiuso, infatti, l’affaire Rcs Sport. Era la fine del settembre 2013 quando i vertici del gruppo furono costretti a denunciare movimenti di denaro poco limpidi tra la costola del gruppo che organizza eventi sportivi come il Giro d’Italia (Rcs Sport appunto) e alcune società ad essa collegate. Da via Rizzoli partì quindi un’indagine approdata in Tribunale sulla questione e sui circa 15 milioni di euro in ballo. Sui parametri economici del nuovo progetto, invece, il silenzio quasi totale. Tranne che per la mission: scommettere sulle scommesse.

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