Come i più attenti e assidui tra voi avranno già notato, quello che pubblichiamo oggi è il seguito di un articolo “a puntate” apparso nelle scorse settimane.
Vi avevamo lanciato l’invito a esporvi, a condividere le vostre testimonianze. Perché interessati a capire che effetto fa ai padri quella frase che noi abbiamo trovato calda, rassicurante ma al tempo stesso spizzante per la sua semplicità; proprio perché pronunciata da un figlio.

La terza puntata di ‘Spero che dirai che è bello essere padre’ ospita, come preannunciato, una delle testimonianze dei nostri lettori. Lasciamo quindi volentieri lo spazio del nostro blog al racconto di Emanuele, che ringraziamo per aver condiviso con noi un pezzo della sua vita. E a chi volesse farsi sentire, ricordiamo che è ancora possibile inviare la propria testimonianza a questo indirizzo claudiofiginiblog@gmail.com.

 

Sì, è bello fare il papà. Chissà perché quando si riflette sulla funzione paterna si pensa subito al tema dell’autorevolezza, delle regole… magari in contrapposizione (o se va bene  in modo complementare) alla funzione affettiva di tipo materno.
Mi soffermo a ricordare i momenti piacevoli che trascorro insieme ai miei figli… Un pomeriggio a montare la lavastoviglie con Giovanni, che compare con il suo caschetto da operaio e la cintura con gli attrezzi giocattolo e l’entusiasmante passaggio a quelli veri, nel ruolo di aiutante; una giornata nei boschi, a cercare cortecce dalla forma strana, mirtilli, sassi da dipingere; le dighe costruite nei ruscelli; le storie inventate con Margherita sulle cugine di Cappuccetto Rosso: Cappuccetto Blu assalita da uno squalo, Cappuccetto Bianco che porta mozzarelle e riso bollito alla nonna…; costruire capanne di rami in campagna, e quando piove, in stanza da letto; osservare la catena e il cardano delle motociclette; piantare bulbi ai primi freddi e poi nel cuore dell’inverno immaginare come stanno; impastare il pane e aspettare davanti al forno…

E quando ho tagliato il cordone ombelicale di Margherita? Ho usato una delicatezza infinita, immaginando un tessuto morbido e invece ho incontrato una resistenza inaspettata e commovente, che ha richiesto una ripetizione che ancora adesso mi fa riflettere e sorridere.

Per me, fare il papà richiede un certo vigore, a dispetto della tenerezza: e questa tensione, tra vigore e tenerezza, è il terreno nel quale sento di muovermi, è il confine sul quale decido di stare.
I ricordi, ancora molto freschi e quotidianamente aggiornati, si sovrappongono, disegnano una trama che immagino si infittirà nel corso degli anni. Cosa li accomuna? La curiosità con cui guardo i miei figli che si muovono nel mondo e con le persone, prima attraverso i miei occhi e poi sempre di più con uno sguardo proprio; la conoscenza della mente, la loro e la mia; i pensieri, i discorsi e le azioni che cercano la dimensione orizzontale della materia e quella verticale dello spirito (per dirla con Battiato).

Poi c’è tutto il tema dell’essere papà in relazione all’essere uomo, e alla sfera delle relazioni affettive. Mi pare che essere un buon papà sia più facile essendo anche un buon compagno, ed essere in buona compagnia; per come stanno andando le cose a naso direi che è la relazione il luogo in cui si può costruire una buona genitorialità, la relazione come luogo delle differenze; la differenza come tensione positiva che genera la possibilità della completezza, la possibilità delle contraddizioni che non si escludono ma che cercano di evolvere…

Comunque, vi saluto: sono chiuso in bagno a scrivere queste righe, in piedi, appoggiato a un mobiletto. Di là c’è mia moglie che mi chiama a gran voce e il tono sta salendo di grado, insospettita dalla possibilità che stia lavorando di nascosto… ma questo è un altro discorso…

Emanuele 

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