La Fiat stoppa la Fiom: dialogo sì, ma no a un tavolo unico con gli altri sindacati, è un’ipotesi impraticabile perchè non porterebbe alcun risultato concreto. Nessuna svolta, insomma. Si procederà con un doppio confronto: lunedì e martedì toccherà a Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri riprendere la trattativa e cercare l’accordo sul contratto degli 80.000 lavoratori del gruppo.

Sale, intanto, la protesta a Termini Imerese, dove a fine giugno scadrà la cassa in deroga per gli ex lavoratori Fiat che continuano il presidio davanti alla fabbrica chiusa da due anni e bloccano l’autostrada Palermo-Catania. Il leader della Fiom, Maurizio Landini, che a Torino arriva con una folta delegazione di lavoratori e segretari territoriali, va avanti sulla sua strada e ribadisce che se si continuerà ad escludere la sua organizzazione ogni iniziativa sarà valutata. “L’azienda – spiega – ha ribadito più volte che quello aperto con noi è un tavolo negoziale e che non ci sono tavoli di serie A e di serie B. Fisseremo nei prossimi giorni la data di un nuovo incontro. Per noi l’obiettivo resta un tavolo unico perché il tavolo doppio non porta a nulla ed è un modo per non applicare la sentenza della Corte Costituzionale“.

Landini riconosce i meriti di Sergio Marchionne che “dal punto di vista finanziario ha fatto un’operazione molto brillante, è riuscito a comprare la Chrysler in buona parte con i soldi della Chrysler, ma l’indebitamento complessivo del gruppo – afferma – è sotto gli occhi di tutti, è aumentato“. Quindi, la domanda è “dove si prendono i soldi per fare gli investimenti, ad esempio per rilanciare il marchio Alfa Romeo“. Il segretario della Fiom insiste sulla necessità dell’intervento del presidente del Consiglio (“Il governo non ha fatto niente, nè quello di adesso nè quelli precedenti”) e sul consenso alla carta rivendicativa da parte di 18.000 lavoratori Fiat: “sono dati pubblici, non solo hanno votato, ma i delegati sono stati accolti da applausi. Gli altri sindacati pensano che non diciamo il vero? Si facciano votare i lavoratori, noi siamo pronti a questa battaglia”. 

Intanto da oltremanica arriva un monito. “Se potete, evitate di giocare a poker con Sergio Marchionne”, scrive ironicamente il Financial Times in un editoriale sull’amministratore delegato della Fiat, spiegando che il modo con cui si è portato a casa Chrysler è stata “una dimostrazione pratica” dell’abilità di un giocatore di poker. Il fondo dei metalmeccanici Usa Veba aveva tentato di “intimorire” Marchionne per costringerlo ad alzare il prezzo per rilevare la sua quota di Chrysler, spiega il quotidiano della City, ma alla fine il numero uno del Lingotto “ha ottenuto ciò che voleva per solo 4,35 miliardi di dollari”.

Tuttavia, sottolinea il giornale della finanza inglese, nell’industria automobilistica Marchionne “è un intruso”. “Non è nè un ingegnere come Martin Winterkorn di Volkswagen, nè un amministratore delegato a 360 gradi come Alan Mulally di Ford”. Ma piuttosto “è un negoziatore (deal maker) solitario che gestisce Fiat e Chrysler come un autocrate con un suo entourage” e “non mostra nessun interesse in vicende manageriali come costruire una squadra o pianificare una sua successione”. E “come un vero giocatore di poker, conduce le trattative di persona, senza l’aiuto di banchieri o avvocati”. Ma questo, lascia intendere l’Ft, potrebbe essere un punto debole perché se è vero che Fiat e Chrysler dovrebbero “consolidarsi e crescere con Marchionne a guidare un rinnovamento culturale e manageriale come quello che c’è stato alla Ford o alla Renault-Nissan” allora “sarebbe necessario uno sforzo collettivo da parte di un intero team e non dell’uomo solo al comando”.

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