Diciamolo pure. Noi donne siamo delle brontolone: lamentarci dei colleghi, delle amiche, delle maestre e soprattutto dei mariti/fidanzati ci viene molto bene.

Mi è capitato parecchie volte di presenziare a scenette domestiche urlate ai quattro venti, in cui una lei criticava un lui passivo e rassegnato perché “si addormenta tutte le sere sul divano”, “non ha mai voglia di fare niente” o “dà più ascolto ai suoi amici che a me”. Nel coinvolgere gli altri nel loro universo di delusione, le donne in questione, sfogando in quel modo un senso di impotenza, si sentono forse meno sole.

Qualche volta però ci si lagna anche quando le cose vanno bene. Questo non gioca proprio a nostro vantaggio.

Quando ad esempio il marito culla la figlioletta di un anno tenendola in braccio, B. scuote la testa angosciata: teme che il compagno possa, per disattenzione o inettitudine, farla cadere.

Quando al mattino il marito prepara la figlia per andare all’asilo, se la scelta dei vestiti non incontra il suo gusto, T. cambia l’abbigliamento seduta stante. E quando lui cucina la cena, se non è di suo gradimento, ringhia: “Questa sbobba la mangi tu, noi ordiniamo una pizza”. Non c’è da sorprendersi molto se lui, alla fine, ha fatto le valigie e se n’è andato.

Altre due donne, I. e S., impartiscono direttive, nonostante siano impegnate in altre faccende – ma vigilissime con la coda dell’occhio – su come i rispettivi consorti debbano salare l’acqua della pasta, far attenzione che il bambino non si faccia male, controllare il pannolino, etc.

Dopo la nascita della mia seconda figlia, io stessa mi ero trasformata in un avvoltoio rabbioso – colpa anche della depressione in cui ero scivolata – pronta a rimbrottare mio marito per qualsiasi cosa non portasse a termine secondo i miei parametri. Ero insopportabile e lo sapevo: mi osservavo da fuori, ma non riuscivo a smettere. Fortunatamente per lui e per me, grazie a un aiutino di tipo ‘junghiano’, sono rinsavita in tempo.

Lamentarsi dei propri partner quando sono assenti e incuranti è cosa buona e giusta, ma farlo quando ci sono e danno il loro contributo, rischia di trasformarci in piccole iene isteriche a cui alla lunga, nessuno dà più ascolto.

Il problema nasce, in parte, da quella mania di controllo che in noi donne sembra più spiccata. Se tutto non va esattamente come noi riteniamo debba andare, vuol dire che va male. Da qui al disastro il passo è breve.

Sapere che il mondo va in accordo con le nostre regole, con la nostra visione, ci dà un’illusione di ordine, di pace e perché no, di potere. Ma a lungo andare ci tramuta in quelle prime donne, individualiste, che dimenticano di far parte di una squadra, sia questa la coppia o la famiglia. L’errore macroscopico da evitare è sostanzialmente quello voler assumere il ruolo di madre sia nei confronti del proprio figlio, sia nei confronti del proprio marito. Accettare i propri e gli altrui limiti con tolleranza, apprezzando gli sforzi fatti in buona fede, porterà a meno acredine e più armonia in famiglia. Provare per credere.

 

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