L’annuncio arriva dal Benfica, la squadra con cui in quindici anni ha vinto per ben undici volte il campionato e che ha trascinato alla conquista della Coppa dei Campioni nel 1962. Eusebio da Silva Ferreira, meglio conosciuto in tutto il mondo come Eusebio, la Pantera Nera del Mozambico, uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio mondiale, è morto questa mattina a 71 anni per arresto cardiaco dopo una lunga malattia, aggravatasi nell’estate del 2012 quando era in Polonia come ambasciatore della nazionale lusitana durante gli Europei. “Fu un africano del Mozambico il miglior giocatore di tutta la storia del Portogallo: Eusebio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste”, scrive Eduardo Galeano, perché Eusebio nasce nel 1942 a Lourenco Marques (oggi Maputo) e una delle prime stelle europee dalla pelle nera non può essere che il figlio delle colonie portoghesi, quando la sola idea di liberazione e indipendenza era ancora lontana da venire.

Orfano di padre a soli otto anni, la sua è una storia di povertà e miseria, da cui si cerca di scappare correndo il più veloce possibile, magari con un pallone tra i piedi, tanto che si dice che da adolescente corresse i 100 metri in 11 secondi. La sua fortuna nacque un giorno sulla sedia di un barbiere, dove a un tecnico brasiliano furono narrate le meraviglie di quel ragazzino che faceva impazzire tutti nelle strade polverose di Lourenco Marques, il tecnico era amico di Bela Gutman, allenatore ungherese del Benfica, e da qui il mito si fa storia. Anche il suo arrivo in Portogallo si tinge di meraviglia: pare che il Benfica per nascondere il suo acquisto ai rivali cittadini dello Sporting Lisbona lo abbia tenuto nascosto in un villaggio di pescatori dell’Algarve, e solo dopo lunghi mesi di battaglia legale lo abbia potuto tesserare.

Era l’estate del 1961, nemmeno dodici mesi prima che Eusebio, in una notte ormai leggendaria di Berna, riuscisse a segnare due gol al potentissimo Real Madrid e a soli vent’anni regali al Benfica la sua seconda Coppa dei Campioni. E passano solo cinque anni prima che il Portogallo si presenti ai Mondiali del 1966, è una squadra multietnica con molti figli delle colonie quella lusitana, ben prima della tanto celebrata Francia campione nel 1998, quando in realtà poi nello spogliatoio dei galletti esplodono tutte le contraddizioni di un paese in cui l’integrazione è ancora da venire. Di quel Portogallo la Pantera Nera Eusebio è il profeta, e la sua figura si sublima nei quarti di finale contro la Corea del Nord, quella che aveva fatto piangere l’Italia con il “falso dentista” Pak Doo-Ik, in cui i lusitani chiudono il primo tempo sotto di tre gol. Nella ripresa Eusebio ne fa quattro. Il Portogallo avanza prima di arrendersi tra le polemiche in semifinale contro i padroni di casa inglesi che dovevano vincere a tutti i costi. 

Quei quattro gol non sono un episodio isolato, a fine carriera Eusebio ne conterà 41 in 67 partite con la nazionale e ben 291 in 313 partite di campionato con il Benfica: una media allucinante di 0,93 gol a partita. Pallone d’oro nel 1965, tra le celebrazioni e i molti messaggi di cordoglio di oggi, da Luis Figo a Cristiano Ronaldo, spicca quello di Josè Mourinho. “E’ una delle grandi figure del Portogallo, credo sia immortale – ha detto l’ex allenatore dell’Inter ai microfoni di Rtp -. Non dico che è stato una fonte d’ispirazione quanto un punto di riferimento importante, non tanto per quello che ha fatto nel calcio ma per i valori, per i principi, per i sentimenti che ha trasmesso anche dopo aver chiuso la carriera. La sua scomparsa lascia un vuoto enorme ma preferisco ritenerlo immortale. Se Eusebio giocasse oggi, sarebbe tra i più forti”. Come resta immortale nella minima storia del calcio la leggenda del bambino che nacque destinato a fare il lustrascarpe e invece con un pallone tra i piedi regalò gioia e speranza al popolo mozambicano, che quando nel 1975 riuscì a essere indipendente si rivolse a lui come a una delle prime persone da ringraziare.

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