“La tifoseria violenta danneggia gravemente lo sport”. E allora ha deciso di fondare la prima Scuola di tifo dell’Emilia Romagna Emanuele Maccaferri, ex allenatore di mini basket oggi insegnante di tifoseria per giovani sportivi e per i loro genitori. “La violenza a cui oggi assistiamo in televisione, allo stadio, in palestra e durante le partite è un pessimo segnale per i ragazzi – racconta Maccaferri al fattoquotidiano.it – guardando i tifosi picchiarsi dopo una partita i più giovani crescono pensando che quella sia la maniera giusta di sostenere la propria squadra, ma è sbagliato. E con questo progetto vorrei spiegare perché”.

La Scuola di Tifo dell’Emilia Romagna, uno dei primi esempi in Italia, oltre a Veneto e Lombardia, nasce quindi “con l’obiettivo di promuovere una cultura della sportività attraverso l’insegnamento della logica del tifo ‘pro’ (la propria squadra), e non ‘contro’ (l’avversario), mettendo in risalto i valori più nobili dello sport: il gioco di squadra, la condivisione, la passione e il rispetto per gli avversari”. “Prima di allenare lavoravo come consulente aziendale – spiega Maccaferri – e ragionando sulle differenze tra un’impresa e una società sportiva ho calcolato i danni provocati da una tifoseria violenta a una squadra: danni enormi, perché non solo la società perde la possibilità di raccogliere i frutti, anche economici, del vantaggio competitivo che ha rispetto a una normale azienda, quello del rapporto diretto con i tifosi, ma perde anche tifosi. Alle partite, infatti, dovrebbero poter assistere tutti, invece spesso le mamme e i bimbi piccoli restano a casa proprio per il comportamento tenuto da alcuni”.

Gli episodi da citare sono numerosi, sia in riferimento alle grandi società sportive, sia in relazione alle partite di squadre meno celebri, ma altrettanto vittime di comportamenti violenti sugli spalti occupati dalle tifoserie: si va dagli scontri tra gli ultras, che spesso si lasciano alle spalle una lunga scia di feriti e arrestati, uno degli ultimi casi è quello di San Siro, avvenuto tra i tifosi di Milan e Ajax prima della partita di Champions League, che si è concluso che tre accoltellati, alle diatribe genitori – atleti, come nel caso dello schiaffo con cui un papà ha colpito un giovane calciatore reo di non aver passato la palla al figlio, suo compagno di squadra, durante un match Esordienti (dai 10 ai 12 anni).

“Per cambiare la mentalità delle persone è vitale partire dalle scuole – prosegue l’ex allenatore – nella speranza che un domani anche lo sport in qualche modo cambi”. Le lezioni, in classi da 30 – 50 ‘allievi’ per volta, saranno volte, quindi, all’insegnamento di due principi fondamentali per il tifoso e per lo sportivo: il rispetto nei confronti dell’avversario e la modalità più adatta a esprimere supporto alla propria squadra, “sportivamente, senza eccessi”.

“A maggio abbiamo avviato una fase sperimentale del progetto – spiega Maccaferri – quando mi venne l’idea, infatti, ne parlai con LGS Sportlab e insieme organizzammo alcuni incontri precedenti ai match disputati in occasione della 44° edizione del Trofeo Lorenzo Seragnoli, a cui hanno partecipato alcune scuole primarie e secondarie di Bologna. L’idea è piaciuta sia ai ragazzi, che hanno avuto modo di assistere a diverse partite ‘di livello’, come il match Grissin Bon – Vanoli Cremona, incontrando professionisti del calibro di Mattia Soloperto, Matteo Frassinetti, Andrea Pecile e Robert Fultz, sia ai loro insegnanti, e con la Fip, la Federazione italiana pallacanestro, che già si stava adoperando in tal senso, attraverso l’approvazione di un ‘codice etico per genitori’ da adottare in palestra, abbiamo deciso di andare avanti”.

Il format elaborato prevede due momenti di lezione: il primo in palestra, “durante il quale i ragazzi vengono invitati a ragionare sul comportamento giusto da adottare quando si assiste a una partita, che noi paragoniamo a uno spettacolo, dove nessuno grida e nessuno si comporta in modo violento”, e il secondo in campo. “Una partita dove ragazzi che solitamente giocano indossando casacche diverse si trovano compagni di squadra, e dove chi in quel momento non è in campo fa il tifo seguendo un semplice principio: incitando, cioè, i compagni, nel modo in cui vorrebbe essere incoraggiato lui stesso mentre gioca”. Ogni incontro, infine, prevede anche la possibilità di assistere a una partita di serie ‘A’, “perché i ragazzi capiscano che si può tifare in modo sano anche guardando i professionisti”.

L’idea ha già ottenuto successo, tanto che il calendario 2014 della Scuola di Tifo è già praticamente pieno: dopo due incontri a Reggio Emilia, infatti, sono previste lezioni a Piacenza, Ferrara e a Bologna. “Non siamo gli unici a parlare di questo problema – specifica Maccaferri – ma a parte il Veneto e la Lombardia, e ad eccezione di alcune società più ‘illuiminate’, difficilmente il tema viene affrontato in maniera così approfondita. Noi, per esempio, offriamo l’apporto di allenatori, tecnici ed educatori, così da preparare le lezioni nel modo più integrato possibile. La nostra speranza – conclude – è semplice: cambiare il modo approcciarsi allo sport senza imposizioni, ma offrendo un esempio e generando una riflessione. I ragazzi devono saper riconoscere gli esempi sbagliati che la società oggi offre, e i genitori non devono dimenticare che ogni gesto compiuto davanti al proprio figlio lo autorizza automaticamente a fare lo stesso”.

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