Un libro per descrivere “la ricchezza che si crea mescolando due culture”, d’origine e d’adozione, ma anche per raccontare “il senso di colpa” provato da chi lascia l’Italia in cerca di una nuova vita all’estero. Se nel “Desiderio di essere come tutti” Francesco Piccolo narrava di un’Italia da abbandonare per salvarsi, decidendo però di rimanere, “resto qui – scriveva – perché non mi voglio salvare”, Gabriele Cosentino, autore di “La partenza del boomerang”, descrive le vicissitudini di chi invece ha deciso di partire: le aspettative, le soddisfazioni, ma anche le difficoltà di un’emigrazione “solitaria” quale è quella dei giovani che oggi abbandonano il Belpaese per costruirsi un futuro. E la sofferenza che si prova nel lasciarsi tutto alle spalle per iniziare una nuova vita all’estero.

“Si parla sempre di contratti di lavoro, di riuscita economica, di successo o di sconfitte – racconta Cosentino – ma ciò che non viene mai descritto è il percorso emotivo che accompagna chi emigra dal proprio paese per iniziare una nuova vita altrove”. Un percorso che non è lineare, non per Giovanni Vulcano, alter ego dello scrittore, bolognese di nascita e newyorkese d’adozione, quello che oggi verrebbe definito un ‘cervello in fuga’: “Sospeso fra due mondi, diviso fra la ricerca di un futuro in America e un tormentato legame con l’Italia”.

La storia di Vulcano è un viaggio interiore, oltre che intercontinentale: “Finisce per girare come un boomerang, e in questo vagabondare senza meta perde prima la proverbiale bussola, e poi la salute. Dopo un decennio passato a lasciare e a riprendere case, amici e amori, in un assurdo ping-pong sull’oceano, una malattia respiratoria lo costringe a fermarsi e a tornare a vivere con i suoi genitori. Grazie all’incontro con una pittrice sciamana intraprende un percorso terapeutico decisamente particolare, che lo porta a scoprire le cause del suo nomadismo, a rappacificarsi con le sue origini, e infine a capire meglio il senso delle partenze, e dei ritorni”.

Il romanzo, edito da ilmiolibro.it, presentato durante la due giorni di incontri annuale di ExBo, la rete modello crowdsourcing di bolognesi residenti all’estero, “nata nel 2008 per mettere al servizio della collettività le competenze dei suoi membri e per affrontare i temi della cittadinanza nell’era della globalizzazione”, approfondisce un tema che, secondo Maria Chiara Prodi, presidentessa della rete e francese d’adozione, è uno scoglio da superare: quello della “spaccatura tra chi resta e chi se ne va”. Una spaccatura che per gli oltre 100 membri di ExBo è soprattutto “culturale”: “Ci definiscono cervelli in fuga ma è una dialettica che crea solo danni, genera un muro nell’immaginario comune perché ci si dimentica che a partire non è solo un cervello, ma anche una rete di relazioni e un cittadino”. “Partire genera senso di colpa, esattamente come rimanere: ci sentiamo in colpa per aver lasciato l’Italia, il paese, la famiglia – spiega Cosentino – ma si sente in colpa anche chi rimane qui, e spesso si sente dire che partendo avrebbe trovato di meglio, un contratto stabile e non da precario, uno stipendio dignitoso piuttosto che una paga misera. Ma non bisogna dimenticare il costo personale di entrambe le decisioni”.

Il prezzo della partenza Cosentino l’ha conosciuto da vicino, quando 10 anni fa scelse di lasciare l’Italia per andare negli Stati Uniti. “Sono partito per New York – racconta l’autore – per fare un dottorato, spinto da un istinto primordiale di salvarmi la pelle da una realtà che già allora mi sembrava in declino. Ma mi sono reso conto che una parte di me era rimasta incastrata, tentava di trascinarmi indietro, verso l’Italia, tanto che vivevo una dicotomia tale che mi era impossibile stare bene dall’una o dall’altra parte. Spesso la scelta di partire viene vista come irreversibile, chi lascia il proprio paese ha l’impressione di abdicare alla tradizione e tagliare i propri legami, e nel mio caso ho sofferto prima di capire che potevo vivere sia in Italia, sia all’estero: da un lato provavo senso di colpa per essermi trasferito, e dall’altro sentivo che non riuscivo a godere della nuova realtà”.

Una condizione condivisa tra i molti giovani emigranti, che per Vulcano si è risolta grazie “a un ritorno alle origini”. Un processo che, secondo i membri ExBo, non è facile. “L’Italia non è più in grado di attirare i giovani, e non fa nulla per attirarli – spiega Maria Chiara Prodi – la corruzione, la scarsa meritocrazia, la necessità di costruire un welfare per il lavoro, con sussidi per chi è disoccupato: i problemi sono tanti, e inficiano il sistema del paese”. Anche per questo è nata ExBo: “Lavoriamo all’estero, ma siamo cittadini italiani e vogliamo offrire il nostro contributo al paese che ci ha visti nascere mettendo al servizio dell’Italia le nostre competenze: collaborare, costruire, partecipare come cittadini attivi anche se mobili, insomma”, spiega Prodi. In progetto ci sono già reti in altre città: Firenze, Venezia, Genova. L’obiettivo è uno solo, un nodo da sciogliere: “Il problema non è come trattenere i giovani in Italia, è giusto che facciano esperienze all’estero – sottolinea Prodi – ma come creare le condizioni affinché possano partire e poi tornare. Su questo l’Italia deve lavorare, e su questo punto cerchiamo di contribuire”.

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