Uno, due, tre, quattro mandate. Cigolio, rumore metallico e poi il cancello che si chiude dietro le spalle.

Una guardiola all’ingresso e poi un cortile a cielo aperto, sempre grigio, anche quando c’è il sole. Prima il limbo degli uffici, stanze a destra e stanze a sinistra, e porte con il nome stampato addosso. Poi l’inferno. Uomini da una parte e donne dall’altra. Una suddivisione formale che stigmatizza una separazione reale e sostanziale di vite, di coppie, di famiglie, di fratelli e sorelle.

I Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sono fatti di mani aggrappate alle sbarre e visi incastrati tra una fessura e l’altra. Sono fatti di storie di fuga ingabbiate dentro le celle e di clandestini in Italia da dieci anni. Sono fatti di persone come Omar, scappato da un paese per sfuggire al reato di omosessualità e finito in un altro dove questa fuga rappresenta un reato. Sono fatti di donne passate dalla tratta alle sbarre, di badanti messe alla porta, di migranti rimasti senza un lavoro e per questo improvvisamente colpevoli di qualcosa, tanto da giustificare la detenzione.

Ho iniziato a girare i Cie sei anni fa, quando erano ancora Cpt, centri di permanenza temporanei. Sono peggio delle carceri, se mai possa esistere una scala della disperazione. Perché la detenzione in carcere presuppone un reato e perché in galera, seppur a fatica, qualche attività diurna e di reinserimento sociale viene comunque messa in piedi. Nei Cie, invece, non si fa alto che aspettare. Si aspetta il rimpatrio, si aspetta di sapere, si aspetta di essere messi in fila e caricati sopra un pulmino. Si aspetta un giorno uguale all’altro, senza più voce e a bocche cucite. E questa combinazione tra la sospensione del diritto e la sospensione del tempo fa della detenzione nei Cie la più grande violazione dei diritti umani, in italia, basata sul razzismo. In questo senso, la protesta dei migranti del Cie di Ponte Galeria sta avendo un effetto dirompente: perché, nella simbologia di una bocca cucita, rappresenta la volontà reale di togliere per sempre la parola ai migranti. Caro Letta, i Cie non vanno rivisti, vanno chiusi.

Articolo Precedente

Caro Renzi, il Paese sarà migliore se ti occuperai anche dei disabili

next
Articolo Successivo

Detenuti genitori: quel giorno di ordinaria famiglia. In carcere

next