La tensione in Telecom Italia si taglia con il coltello. Oggi si terrà un’assemblea cruciale, dove si deciderà il futuro e il controllo della compagnia telefonica. Negli ultimi giorni i colpi di scena non sono mancati. Prima la Consob che chiede maggiori informazioni sul convertendo, poi l’intervento dell’autorità antitrust brasiliana che conferma che Telefonica e Telecom non possano coesistere sul mercato mobile del paese sudamericano, le conseguenti dimissioni dal board dei soci spagnoli ed infine la salita in potenza del fondo americano Blackrock.

Un’enorme partita a scacchi a livello globale. Partiamo dal principio. I soci italiani, le banche di sistema che negli ultimi anni hanno guidato Telco, che ha il controllo di fatto della compagnia telefonica con il 22,4 per cento del capitale, hanno deciso nei mesi scorsi di disinvestire. L’uscita si è palesata con la conseguente crescita in Telco di Telefonica che dall’anno prossimo potrà avere il controllo completo della scatola. Gli spagnoli erano stati lasciati entrare come socio di minoranza quando vi era il rischio politico che Telecom passasse ai messicani di Carlos Slim e agli americani di AT&T.

La politica italiana, per non perdere l’italianità (che tanti danni ha fatto anche in Alitalia) decise di lasciare entrare gli spagnoli in minoranza. A settembre, di fronte alle crescenti perdite di Telecom, le banche hanno deciso di uscire dalla gestione dei telefoni e Telefonica ha avuto la possibilità di prenderne il controllo. Tuttavia rimaneva il problema brasiliano. Telefonica e Telecom sono i due maggiori player concorrenti nella telefonia mobile di quel paese e come previsto l’antitrust brasiliano, il Cade, non ha mai visto di buon occhio l’integrazione tra i due gruppi. Nel momento in cui l’operazione tra gli spagnoli e gli italiani è andata a buon fine ha avvertito che era necessario una vendita di asset nel Paese brasiliano. Chiaramente questo passo non è conveniente, perché il Brasile è un mercato con grandi margini, ma soprattutto con ottime prospettive di crescita.

Cesar Alierta, presidente di Telefonica, ha dunque deciso di fare un passo indietro nel board di Telecom, anche perché nel frattempo la Consob guidata da Giuseppe Vegas, si era stizzita dei comportamenti di Telco, circa il convertendo. Il prestito emesso da Telecom, solo con alcuni dei partner storici, aveva lasciato a bocca asciutta la Findim di Fossati, che intanto stava creando intorno a sé una cordata. Non è ancora sicuro chi avrà il controllo di Telecom dopo l’assemblea. Una situazione strana per l’Italia, che di fatto dimostra che la battaglia è vera e molto dura.

E anche dopo l’assise l’ago della bilancia lo potrebbe fare il fondo americano Blackrock (per chi si illude che l’italianità sia importante), sia che questo vada verso Telefonica (anche attraverso l’astensione), sia che vada con Fossati. Il fondo è salito fino a quasi il 10 per cento, diventando il secondo azionista in Telecom. Un socio che per di più ha quasi il 4 per cento di Telefonica ed è il terzo socio degli spagnoli dopo le due grandi banche BBVA e Caixa. Indipendentemente da come andrà a finire, per Telecom non sarà facile il prossimo futuro.

Il piano dell’amministratore delegato Marco Patuano non ha previsto un aumento di capitale, perché i soci non lo volevano. Gli azionisti hanno ristretto troppo il quadrato delle mosse possibili del management di Telecom, che lentamente si è trovata in sofferenza a causa dell’asfissia del mercato italiano con margini calanti. La vendita delle torri di comunicazioni e della filiale argentina, Paese vicino al collasso, è solo un passo per cercare di abbattere il debito, ma è ancora troppo poco.

Vi è poi un altro fattore che inciderà nel prossimo futuro e che ha già fatto troppi danni all’azienda: la politica. Negli ultimi mesi si discute in Parlamento di un cambio della legge sull’Opa, una norma ad aziendam che di fatto farebbe scappare gli investitori stranieri (non solo nel settore telefonico). L’incertezza regolatoria è uno dei problemi principali del nostro Paese e non è possibile cambiare le leggi in funzione della vicinanza di un determinato parlamentare ad un determinato azionista. Questo è quanto capitato in passato per Alitalia, dove la legge “salva Alitalia”, poi rivelatasi inutile e dannosa per il contribuente, era stata fatta per una singola azienda. Se il quadrato di decisione di azione del management è stato ristretto da dei soci che non avevano bene in mente il business telefonico, la politica tende a restringere quel quadrato decisionale fino a farlo diventare un puntino. Un puntino, grande come la credibilità che potrebbe avere l’Italia di fronte ai partner internazionali, se la politica continuasse ad agire in questo modo.

@AndreaGiuricin

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