Malalai ha 35 anni e dieci anni fa era la donna più giovane a sedere nel parlamento afgano. Oggi vive nella semiclandestinità, cambiando continuamente residenza perché costantemente minacciata di morte. Dal parlamento fu espulsa nel 2007, per aver dichiarato in un’intervista che “a differenza degli animali che si trovano in una stalla, quelli che sedevano in parlamento non avevano alcuna utilità“. Si riferiva ai signori della guerra, i criminali che durante i conflitti che hanno segnato l’ultimo trentennio in Afghanistan si sono arricchiti e macchiati di crimini atroci.

Come parte delle iniziative per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne (25 novembre), Telefono Rosa ha invitato Malalai a raccontare la sua storia in diverse città italiane. L’attivista afgana ha così incontrato cittadini e studenti per parlare di come la guerra ha, di fatto, peggiorato la condizione delle donne nel suo Paese.

“Sono qui per raccontare le conseguenze di dodici anni di cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ da parte degli Stati Uniti e della Nato e della disastrosa situazione delle donne nel nostro Paese – ha dichiarato Malalai – Sono qui per aprire gli occhi e la mente dei cittadini italiani, per incoraggiarli a supportare soprattutto chi, mettendo a rischio la propria vita, si impegna per promuovere l’educazione in Afghanistan”.

La possibilità di studiare sembra davvero essere la principale preoccupazione tanto di Malalai che di coloro che al contrario temono l’emancipazione femminile: “Negli anni ’60 e ’70 le donne in Afghanistan godevano di alcuni diritti: vestivano abiti moderni, camminavano per le strade e andavano a scuola, specialmente a Kabul. Ma oggi anche nella Capitale le donne portano il burqa per essere al sicuro, i casi di stupro sono aumentati e molte scuole sono state chiuse”. Per questo il principale strumento di resistenza diventa quello di garantire l’istruzione delle ragazze afgane. “Io faccio del mio meglio affinché le donne con cui entro in contatto diventino consapevoli della loro identità e del loro ruolo nella società. Le incoraggio a studiare perché credo fortemente nel potere dell’educazione che è un elemento chiave contro l’occupazione e verso l’emancipazione” ha spiegato Malalai.

La voce dell’attivista si fa ancora più dura quando arriva a denunciare quella che lei definisce “una presa in giro delle democrazia e della guerra al terrorismo”: “La situazione drammatica della condizione della donna è stata una delle scuse per gli Stati Uniti e per la Nato per occupare il nostro Paese. Purtroppo però hanno rimpiazzato il vecchio regime talebano con i signori della guerra che, come i talebani, si oppongono ai diritti delle donne e hanno commesso essi stessi molte violenze contro le donne. I governi occidentali in nome della democrazia hanno massacrato e violato diritti umani. Eppure i signori della guerra sono ancora al potere” conclude amaramente Malalai.

E la condizione delle donne continua a peggiorare, soprattutto nelle aree rurali. Secondo l’Unifem (il fondo di sviluppo delle Nazioni unite per le donne), quasi il 90% delle donne afgane subisce abusi domestici, rendendo il Paese uno dei posti più pericolosi al mondo in cui essere una donna. “Il 25 novembre, mentre nel mondo si celebrava la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, nel mio Paese una donna di 25 anni è stata massacrata, strangolata dal marito” e purtroppo l’elenco delle violenze potrebbe continuare.

Le parole di condanna dell’attivista non risparmiano anche l’Italia: “Anche il vostro governo ha seguito la politica statunitense a supporto dei signori della guerra. E ora che i talebani sono stati invitati a far parte del governo afghano, Roma è rimasta in silenzio”.

Quando interrogata sulla possibilità di vivere fuori dall’Afghanistan, Malalai risponde: “Nonostante i rischi che corro non lascerò il mio Paese, perché credo profondamente che soltanto le nazioni possano liberare loro stesse. Nessuna nazione può donare la libertà a un’altra”. E lei sembra sicura che quella sia la sua missione.

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